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Da Rionero in Vulture a Cambridge una stella luminosa ha accompagnato l’esistenza di Beniamino Placido nei suoi 81 anni di vita. Nato in una terra di contadini e morto in una capitale culturale globalizzata. In mezzo la Roma del sapere, della cultura e anche del potere. Una bella vita quella di questo intellettuale meridionale, come lo ha definito il cugino attore Michele, che all’Italia ha saputo offrire visioni culturali e antropologiche totalmente innovative.
Degno compaesano di Giustino Fortunato, dotato di pensiero azionista, giovane apprendista di Pannunzio al celebre Mondo. Sbarca nella Capitale come frequentatore di Montecitorio dove inizia a lavorare al servizio informatico. Un protagonista a tutto tondo della vita intellettuale del Novecento italiano. Docente universitario alla Sapienza, ha diretto il Salone del libro di Torino, ha duellato in televisione con Indro Montanelli, ha allevato un paio di generazioni di giornalisti ai tavoli del ristorante Piperno a Roma tra citazioni condite dalla sua proverbiale ironia alleniana e ottimi carciofi alla giudia.
Beniamino Placido è stato anche un grande critico televisivo. Attento a coniugare l’alto con il basso. Non è un caso che si contenda con Arbasino il copyright su chi ha inventato il celeberrimo topos della “Casalinga di Voghera” che il nostro Giulio Laurenzi ha attualizzato in queste ore sulla fruibilità di certa arte moderna potentina.
Mi fa riflettere il fatto che la critica televisiva italiana oltre al Saviane dei mezzibusti e all’imperante corrierista Grasso nell’elenco dei grandissimi schieri ben due lucani: il Pasquale Festa Campanile dell’Europeo nativo di Melfi e Beniamino Placido della dirimpettaia Rionero che oggi l’Italia delle lettere ricorda e omaggia. Forse l’Unibas dovrebbe lavorare su qualche tesi sull’argomento. Per spirito di categoria celebriamo anche il grande giornalista in epoca di scrittura acerba con troppi colleghi che dipingono api come elefanti. Mi soccorre uno scritto di Ezio Mauro che aveva confessato: “Credo di essermi perso pochissimi articoli suoi. Leggevo per il piacere di leggere, intanto, perché la buona lettura e la bella scrittura vanno sempre insieme. E poi cercavo di capire l’impianto giornalistico del pezzo, come era assemblato, con quali strumenti, con quale progetto…Perché un articolo di Beniamino Placido, l’ho capito allora, non è mai soltanto un articolo, ma una costruzione”.
Ci tocca scrivere del suo rapporto con la Basilicata. Molto resta da indagare. Rifuggiva dal ritorno. Ma la sua terra gli apparteneva contestualmente. Ne offriamo prove esemplari pubblicando integralmente due stupendi articoli scritti su Repubblica sulle leggi razziali degli anni Trenta e su un antico Natale di guerra a Rionero.
Nel suo osservare il mondo dalla finestra tv quando appariva qualcosa di lucano rifuggiva dalla retorica. Smontava documentari da luoghi comuni, ironizzava sulle riprese televisive del Premio Basilicata, metteva alla berlina qualche dilettante lucano allo sbaraglio in qualche talk show. Un intellettuale autentico. Un lucano ironico e privo delle ombrosità che decanta Sinisgalli. Uno dei figli migliori di questa regione. Dimenticarlo sarebbe un sacrilegio.
Paride Leporace
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