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di PARIDE LEPORACE
Sulle pagine di questo giornale da qualche settimana, ma forse da sempre, è in corso un dibattito senza rete per comprendere qual è il futuro di questa regione dopo il primo decennio del XXI secolo. Due libri scritti da Paolo Albano e Nino D’Agostino con relative presentazioni hanno aggiunto legna su un fuoco incandescente. Complessa è la sintesi dell’articolata questione. Mi limito a fissare nuovi punti cardinali alla discussione che dall’economia è passata ad avvolgere altre complesse vicende.
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Il presidente di Confindustria, Pasquale Carrano, in un’intervista al Quotidiano, ieri, ha sostenuto che la Basilicata “non è dalla parte dell’impresa”. Il primo atto pubblico del leader degli imprenditori lucani è molto netto. Anche preoccupante per la classe dirigente regionale. Un rapporto spezzato con il territorio non è buona pratica. La politica regionale delle attività economiche e produttive gioca in difesa e non brilla per iniziativa. Anche il settore edile è fermo.
Tranne il consigliere Napoli nessuno ha inteso dare peso a questi dati negative e parole amare. Tra pochi giorni il senatore Guido Viceconte dovrebbe diventare sottosegretario al Lavoro del governo Berlusconi. Un ruolo che si spera venga interpretato con colbertiana applicazione lucana. Finalmente dovrebbe conoscersi anche il candidato a governatore del centrodestra lucano. Le elezioni sono alle porte e la destra non dialoga neanche sulle riforme regionali ignorando persino quello che accade a Roma. La destra lucana (fatto salve sporadiche eccezioni) con i suoi atrofici personaggi strozza la vita democratica della regione.
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Attilio Martorano doveva essere l’uomo nuovo. In molti avevano sperato in questa scesa in campo. Ha pagato il prezzo di essere uomo del fare. Ha svolto un compito. La sua ombra ha determinati i nuovi equilibri del Partito Democratico e del centrosinistra. Alcune sue idee non vanno disperse. Il suo movimento si spera possa continuare ad essere un pensatoio per la Basilicata.
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Vito De Filippo ha nei fatti la rinomination a governatore del suo schieramento. Al momento è un uomo solo al comando senza avversari. Ha compreso che deve affrontare le questioni che il nostro giornale continuerà a proporre nelle prossime settimane. A Matera nella presentazione del libro di Paolo Albano è stato bravo ad incardinare la critica inchiodandola al paradigma del “declinismo”. La nostra Maria Teresa Labanca ha magnificamente inquadrato il termine come una crasi che unisce declino e catastrofismo. L’analisi del presidente è convincente quando affronta sulla lunga durata la traversata nel deserto. Una regione di contadini è entrata nel post moderno modificando il corso della Storia. Ma veramente chi oppone altre analisi non ha competenze o è pregiudizialmente contro?
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A mio parere sbaglia chi legge i numeri di Nino D’Agostino e le passioni di Paolo Albano alla luce di rancori e interessi personali. E’ una demonizzazione dell’avversario che non ci piace. Ci ricorda i baffi di Stalin e non ne abbiamo bisogno. Noi stiamo ai fatti. Alle analisi. Ai ragionamenti. Una volta tanto, anche noi che amiamo il gossip affermiamo il primato dell’intellettualità di chi appone il suo nome sotto una teoria.
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Vincenzo Folino nel suo lungo articolo al Quotidiano è stato acuto nell’allontanare teorie complottiste ricordandoci che la Basilicata è una “espressione geografica che spesso si è tentato di cancellare”. Giampaolo D’Andrea a Matera ha ricordato che l’agguato fu già tentato alla Costituente. Rocco Colangelo ha parlato di “geografia non riconosciuta”. Una volontà politica ha costruito una regione dal doppio nome che ha conquistato un’identità certa con Scanzano. Dal levismo alla Fiat di Melfi attraverso i computer la Basilicata odierna è globalizzata. I problemi di oggi sono quelli del mondo. Ma vanno affrontati. Lo spopolamento non è la desertificazione ma pone un confronto. La paesologia arminiana di De Filippo è stimolante ma non basta. Cercheremo di offrire nuovi contributi.
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Un anno fa la situazione politica ed economica della Basilicata sembrava catastrofica. Oggi le questioni sono migliorate. Le polemiche dimissioni di Folino hanno portato attraverso un percorso accidentato a soluzioni più avanzate.
Roma su quell’episodio fu colpevolmente distratta . Il partito veltroniano strumento da talk show maggioritario era lontano da Potenza. I colonnelli e i generali dalemiani pensano troppo alle banche. Filippo Bubbico, generale e simbolo di una felice stagione di rinnovamento, è da troppo tempo in silenzio. Le idee camminano sulle gambe degli uomini. Quelle di Bubbico servono ancora a questa terra.
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Un altro Bubbico, il nostro Vito, ha ieri ricordato con giusto puntiglio che a questi problemi sta mancando “l’intellettuale collettivo deputato a portare a sintesi e progetto lo studio, il disquisire, l’analisi”. Ovvero il partito. Non quello leninista. Ma quello Democratico. Un partito di massa lucano. Differente dai suoi omologhi meridionali contaminati da mafia e affaristi senza scrupoli. Il Pd lucano è capace di farsi guidare da giovani trentenni che portano speranza e rinnovamento. Ma anch’io dico “Speranza fatti sentire”. Parlare del clima può essere anche attuale e imperativo ma lasciamo spazio a Margiotta che si sobbarca i lavori internazionali. Chi ha annunciato la discontinuità ha il dovere di preoccuparsi di risolvere le ansie dei giovani, il futuro dei paesi, il destino delle città.
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Folino rispondendomi su una mamma che ha rubato caramelle ai figli ad Irsina è approdato a Toghe lucane. Più che un’inchiesta franata, è stata una guerra civile a bassa intensità che la classe dirigente lucana ha prodotto un decennio dopo Tangentopoli e probabilmente come prova generale di uno scacchiere più ampio. Siamo serenamente attenti a capire quello che è accaduto. Osserviamo che in tanti scelsero il silenzio o si vestirono da tifosi per interesse di parte.
Furono in pochi a prendere posizione netta contro l’inchiesta. Per esempio Nino Grasso che oggi a ragione ne rivendica orgoglio. Sbaglia però quando ci accusa di essere voltagabbana per paura di querele. Noi siamo stati terzi nella vicenda. Prima, nel pieno delle accuse, dopo quando ne è stata chiesta l’archiviazione. A differenza dei giornalisti tifosi nel conflitto lucano non siamo finiti indagati a Matera e Salerno. Personalmente sono stato sentito solo come persona informata sui fatti a Salerno per mie ormai antiche vicende calabresi. I nostri giornalisti hanno fatto il loro dovere. Quello d’informare. Difendendosi da querele milionarie che cercano di minare il diritto d’informare che con coraggio il nostro editore ci permette di esercitare. Continuano a giungere alla nostra porta le citazioni di chi ha problemi di giustizia. Qualcuno chiede anche trattative sull’atteggiamento editoriale. Sono ricchi e potenti abituati a comprare tutto. Anche la dignità della persone. I nostri lettori sappiano che hanno trovato le porte sbarrate. Ma non mancano buoni gesti. Ho ricevuto un dono di Natale dal senatore Belisario con cui abbiamo avuto una dura polemica. Non era il Valium che Fini ha mandato a Feltri. Ricambierò il gesto di amicizia e ringrazio chi porta nel giusto ambito i termini della polemica.
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Alla vigilia del Natale ringrazio anche i lettori che crescono giorno dopo giorno. Il nostro unico assillo è il mercato dell’edicola e della pubblicità che garantisce la nostra libertà. I miei colleghi per questo bene prezioso hanno accettato dei sacrifici personali che permetteranno alla nostra azienda di affrontare meglio la crisi economica che attanaglia il mondo editoriale globale. Siamo ancora pronti a dare il nostro contributo per creare una libera opinione pubblica lucana. Buon Natale a tutti.

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