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di OTTAVIO CAVALCANTI
Diluvia, mentre percorro l’autostrada, lunedì 14. Il giornale radio serale veicola la voce di Bonaiuti. Definisce il Cavaliere un leone che presto riprenderà a usare gli artigli. Ho letto in giornata l’intervista del dissennato Larussa, che gli stava a fianco al momento dell’aggressione di Massimo Tartaglia, secondo il quale “Non ho mai sentito da Berlusconi un discorso pacato come quello di Milano. Tanto che, scendendo dal palco, me lo ha pure fatto notare: hai visto Ignazio come sono stato sereno e pacato?”. Eppure le immagini registrate e mandate in onda dalla televisione lo restituiscono in una delle sue abituali “performance” comiziali sbracciato, sboccato, alla ricerca del facile effetto chiedendo il numero di telefono alla ragazza che accompagna il donatore di una maglietta antimafia. Ha rinnovato l’attacco a giornali, televisione di Stato, giudici, Corte costituzionale, presidente della Repubblica, non rinunziando a coinvolgere nella condanna la sinistra, che negli ultimi tempi ha sostituito, per necessità di svecchiamento del suo arcaico eloquio politico, i comunisti. Il tutto comunicando, nel contempo, la ripresa dell’alleanza con l’estrema destra di Storace e della Santanchè. E’ reduce da Bonn, dove l’abituale esternazione fuori confine ha colpito nel mucchio nel tentativo di destabilizzare le istituzioni democratiche, coinvolgendo, nello specifico, gli ultimi tre presidenti della Repubblica, tutti di sinistra, Scalfaro compreso – ipse dixit -, tacendo la loro elezione parlamentare, nonché – obiettivo fisso – i membri della Consulta, il che significa estremo – in ordine di tempo – tentativo di criminalizzare l’opposizione. Il già citato Larussa si meraviglia che si faccia il “linciaggio morale” di un politico persino – udite, udite – organizzando una manifestazione contro di lui, non contro il suo governo, dal momento che, “persino durante gli anni dell’antifascismo militante, la sinistra mica faceva le manifestazioni contro Giorgio Almirante”. Vorrebbe far credere che qualcuno contribuisca a determinare la politica del suo partito di appartenenza condizionando la volontà del capo, che persino nella lettera di denunzia della moglie è definito l’imperatore. L’ipocrisia dominante, in un Paese che sembra aver perso da tempo la rotta della razionalità, accasandosi senza ripensamenti al buonismo di matrice cattolica, filtrato in quasi tutti i gangli della vita politica, piange lacrime di solidarietà indirizzando strali contro coloro che hanno avuto il coraggio di attribuire le obiettive responsabilità dell’accaduto a un clima determinato dai tentativi reiterati di nullificare le garanzie costituzionali, nel tentativo di fondare il suo potere personale su un ordine apparentemente nuovo, in realtà precedente la teoria della divisione dei poteri, sulla quale poggia il moderno Stato democratico. Il ritorno al passato, vale a dire allo Stato assoluto in cui il sovrano è “legibus solutus”, sciolto cioè dall’osservanza della legge, è il sogno del nuovo re sole, caratterizzandosi, per ciò stesso, nemico dello Stato come nemico dello Stato di diritto in cui – è stato ricordato – “lex facit regem”, non “rex legem”. Il tutto nel tentativo, sempre più disperato, di evitare le maglie della giustizia perseguito a fini di sopravvivenza per un quindicennio, quello della sua discesa in campo. L’aspirante despota sembra porsi così fuori legge operando come se la legge non debba produrre i suoi effetti nei confronti di chi la violi o sia sospettato di violarla, la legge, l’unico, indiscusso potere di chi non ha potere. *** La canéa dei portavoce, e non solo, cerca di colpire i mandanti morali dell’accaduto, facendo finta di ignorare che non rispondono ai nomi di Fini, Casini o Di Pietro, ma a quello di un povero disturbato psichico.

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