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di PAOLO JEDLOWSKI*
In un incontro pubblico a Olbia, sabato scorso, il presidente del Consiglio del governo italiano, Silvio Berlusconi, ha detto: “Se trovo chi va in giro a fare nove serie sulla Piovra e a scrivere libri sulla mafia, che hanno dato al mondo questa immagine dell’Italia, li strozzo”. Riprendo la citazione dal “Corriere della sera” del 29 novembre; l’ha riportata ogni agenzia. I giornalisti si premurano di sottolineare il carattere “scherzoso” della frase. Ma un rappresentante del governo può scherzare su cose del genere? Può dichiarare di volere “strozzare” chi scrive su uno dei più gravi e inquinanti fenomeni della vita italiana, la mafia? Il rilievo della carica attribuisce alla persona una responsabilità che altri non hanno, e alle sue parole un peso ben maggiore di quelle di altri. In qualunque paese del mondo ove ci sia un Parlamento, ritengo che questo avrebbe chiesto immediatamente le dimissioni di un capo di governo capace di dire cose simili. Mi aspettavo che tutti i membri del nostro Parlamento – di destra, di sinistra, di centro – avrebbero reagito chiedendo le dimissioni di Berlusconi. Sono molto colpito dal fatto che non sia accaduto. La frase di Berlusconi infatti è inammissibile. Lo è perché irride a chi per aver scritto sulle mafie è stato ucciso, è minacciato o vive sotto scorta; perché delegittima, da parte di chi impersona la seconda più alta carica dello Stato, chi lotta contro la mafia e persino lo Stato stesso, che in questa lotta ha speso risorse e visto morire molti suoi servitori. Non necessariamente tutto ciò che è stato scritto o rappresentato sulle mafie al cinema o in televisione è oro colato. Certi film ai mafiosi hanno fatto pure piacere: Il padrino, dell’americano Francis Ford Coppola, pare l’abbiano molto apprezzato. Quanto a La piovra, forse quello sceneggiato ha più spettacolarizzato il tema che contribuito a comprenderlo. Ma altri film e altri romanzi, altre inchieste e altre testimonianze, tesi di laurea e ricerche, hanno avuto ben altro impatto sulla coscienza civile e sulla nostra conoscenza del fenomeno. Al fianco di giudici e poliziotti, i mafiosi hanno ucciso giornalisti e scrittori. Berlusconi si è chiesto il perché? Che Roberto Saviano sia braccato dai camorristi, lo sanno anche i sassi. Il giovane Peppino Impastato, per non fare che un altro solo nome, ce lo ricordiamo tutti: lavorava a una radio, chiamava per nome i mafiosi, è stato ucciso per questo. Si vorrebbe vietare il film che ne ha parlato (I cento passi, di Marco Tullio Giordana), o il fumetto che ne ha fatto conoscere la storia ai più giovani (Peppino Impastato. Un giullare contro la mafia, di Marco Rizzo e Tullio Bonaccorso)? Il fatto è che non parlare delle mafie le aiuta. Parlarne, al contrario, è aiutarci a comprenderle e a farci forza per combatterle insieme. E’ dire che con le mafie non ci vogliamo stare. Di fronte al crimine, alla violenza, all’intimidazione, niente è peggio che la loro rimozione dal discorso pubblico. Ciò che dico non ha nessun rapporto col fatto che Berlusconi abbia avuto o meno rapporti con la mafia siciliana, come alcuni “pentiti” ora affermano. Né conta chiedersi se le dimissioni di Berlusconi possano essere un bene o un male per il paese. Si tratta semplicemente, a mio avviso, di una richiesta di dimissioni dovuta, a causa della inammissibilità di ciò che il capo del nostro governo si è permesso di dire. Ci sono cose cui una società civile deve reagire. Personalmente, sono disgustato dal fatto di essere costretto a scrivere righe come queste. Preferirei dedicare il tempo al mio lavoro. Ma non mi pare si possa permettere l’insulto alla dignità di chi, scrivendo sulle mafie spesso a proprio rischio e pericolo, si batte per un paese legale, per la coscienza civile, per la memoria delle vittime della prepotenza criminale.

*ordinario di Sociologia Facoltà
di Scienze politiche Università della Calabria

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