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di ROCCO PEZZANO
QUANDO l’economista Nino D’Agostino, presentando ieri il suo libro “La Basilicata: tra tradizione e modello federale”, ha detto: «Chi si candida a consigliere regionale, deve dimettersi da funzionario della Regione. E mai più rientrare. Deve rischiare», un signore in prima fila ha ridacchiato.
Quell’accenno di risata potrebbe voler dire: «Eh, sarebbe bello». Oppure: «Sì, sogniamo pure, tanto la realtà la conosciamo bene». O ancora: «Beh, forse non domani, ma prima o poi questa terra raggiungerà un tale livello di civiltà».
L’interpretazione di quella risatina procede in parallelo con l’impatto che l’ultima opera dello studioso – e la sua critica al “modello” lucano – potrebbe avere sulla cultura politica locale.
Se n’è parlato ieri nell’aula del consiglio provinciale, a Potenza.
Il conduttore della serata è Paride Leporace, direttore del Quotidiano della Basilicata, che parla subito di una «operazione verità» e di un libro che serve «come grimaldello per scardinare luoghi comuni».
Filo comune, il sottotitolo del libro, cosiderato dai più il titolo vero e proprio: “Il futuro dell’isola che non c’è”.
Allo stesso tavolo politici decisamente collaudati e altri ancora in rodaggio.
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A prendere subito la parola Giampaolo D’Andrea, ex parlamentare e molto altro, estrazione Dc, oggi anima culturale e intellettuale del Pd. Dice di non aver mai creduto ai miti, D’Andrea. «L’isola è un mito. Con i miti non si fa la politica, Nè l’economia, né la storia. Ma nulla può davvero, oggi, essere un’isola». Ad aver colpito D’Andrea, la riproposizione da parte di D’Agostino di un pezzo di storia lucana: il Comitato regionale di programmazione economica, il Crpe. Questi organismi vennero istituiti nei diversi territori italiani dal ministero del Bilancio negli anni Sessanta, quando ancora non esisteva l’ente Regione. Un metodo – la programmazione – che D’Agostino ama, essendo stato nell’animo e di professione un “programmatore”. Un metodo che però, in Basilicata, secondo l’autore non è stato realmente seguito. «Come uscire dalla crisi? – si domanda D’Andrea – Certo, non possiamo riavviarci dalle debolezze di partenza». E qui entrano in ballo le ultime generazioni. I giovani che, a costo di sacrifici familiari, si laureano e specializzano. Poi vanno via. E fin qui, poco male, spiega D’Andrea: se si confrontano con altri Paesi e si formano ancora di più, è tutto ok. Ma quando questa separazione dal territorio di partenza diventa definitiva, l’esito può essere esiziale per la Basilicata.
E allora? Si potrebbe stabilire un vincolo agli aiuti pubblici: le imprese possono usufruirne a patto che assumano giovani laureati in ruoli di alta dirigenza. Solo così la mano pubblica cessa di essere assistenzialismo e si trasforma in un salto di qualità.
E qui torna la storia del Crpe: nelle relazioni degli anni Sessanta, quasi cinquanta anni fa, si parlava già di “capitale umano”. «I giovani iperqualificati di oggi – conclude D’Andrea – possono risultare decisivi nei processi di produzione e sviluppo di domani».
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Anche Nicola Valluzzi – ex sindaco di Castelmezzano, 900 abitanti, oggi assessore provinciale, estrazione socialista e oggi del Pd, dice la sua. E parla proprio della «polverizzazione dei comuni», di questo pulviscolo comunitario che in Basilicata praticamente non conosce una vera città – forse solo Potenza, ma il forse ci sta tutto – e crea problemi a scuola, trasporti, viabilità, rifiuti. Secondo Valluzzi, il verbo federalista – tramontata la cultura “regionalista” mai realizzata – ha creato squilibri. «Questo è un territorio – conclude – che negli ultimi 150 anni ha vissuto solo di attese e speranze».
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Piero Lacorazza, presidente della Provincia di Potenza, fa parte degli amministratori di primo pelo (come politico del Pd ha qualche pelo in più). A lui Leporace chiede cosa ne pensi del reportage di Giampaolo Visetti su Repubblica (“La Regione chiusa con un fax – La bancarotta della Basilicata”) che un anno fa sconvolse la politica lucana. Lo criticarono quasi tutti gli esponenti del centrosinistra – sotto processo nell’articolo – ma dopo un paio di giorni l’assessore alle Attività produttive Vincenzo Folino si dimise. E si aprì la crisi della giunta regionale.
Lacorazza sul servizio di Visetti non parla di complotto (alcuni lo fecero), ma di «rappresentazione molto violenta contro la dignità dei lucani, e di una lettura molto parziale e senza analisi della realtà. Forse con qualche interesse». «Interessi mai svelati», commenta Leporace. «Beh, De Benedetti (editore di La Repubblica, ndr) investe sull’energia», risponde Lacorazza.
Ma il presidente della Provincia fa anche autocritica: «Dagli anni Novanta, l’evoluzione del centrosinistra lucano non è stata all’altezza del progetto di centrosinistra. Quando Gaetano Fierro divenne sindaco di Potenza, ci fu un allargamento della coalizione per annessione e non per progetto. Ma l’esperienza Dinardo (Raffaele, presidente della giunta dal 1995 al 2000, ndr) fu una vera svolta: sull’acqua, sulla riforma sanitaria, sulla formazione. Poi la progettualità non seguì».
«Siamo caduti nella trappola del consenso»: Lacorazza lo ripeterà più volte. Spiegando che questo è il pantano da cui il centrosinistra lucano deve uscire. Per far sì che poi la Basilicata “faccia sistema” con il Mezzogiorno per superare la propria debolezza intrinseca.
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Roberto Speranza, nominato segretario del Pd lucano dopo primarie segnate da tatticismi e giochi che si sono attirati il biasimo della base, è il politico con il cursus honorum più breve in sala. Ma il suo intervento non sembra odorare di latte: «Il grande tema sul tappeto è: come riusciremo a immaginare un passaggio di modello di sviluppo da quello assistenziale e compensativo a uno più dinamico, competitivo».
Non nasconde, Speranza, parlando della storia della propria parte politica, che si è alimentata una macchina del consenso più che creare benessere. Ma non tralascia uno strale per i cittadini: «Non sempre la richiesta che ci viene dalla società lucana è in linea con ciò che vorremmo fare. L’impresa non sempre è disposta fino in fondo a giocare sul mercato. Bisogna trasformare in virtuosi i circoli viziosi: povertà che crea bisogno che genere cattiva politica che diventa assistenzialismo. E’ necessaria un’autoriforma del Pd e del centrosinistra».
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Dopo la gioventù di Speranza, la lunga esperienza di Claudio Signorile, esponente del Psi di quelli che si definiscono “storici” e più volte uomo di governo.
Dell’opera di D’Agostino parla come di un “pamphlet”, desueta forma letteraria che consiste nella sintesi di documenti, dati, letture politiche e storiche in nome di una passione civile. Una testimonianza e non un saggio.
Signorile incentra il suo intervento spingendo sul ruolo delle infrastrutture. Il Mezzogiorno, sostiene, o sarà una macroregione europea o non sarà nulla. La Basilicata potrà farne parte se saprà inserirsi nella dimensione geoeconomica, giocandosi la posizione e gli sbocchi logistici anche in altre regioni («Proposi il molo lucano al porto di Taranto, nessuno mi ascoltò»), legandosi ala rete ferroviaria ad Alta velocità («Un’opportunità che non si ripeterà») e sviluppando servizi urbani («Ossia, l’accessibilità dei cittadini ai servizi pubblici»).
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Nino D’Agostino parla alla fine. L’economista ha lavorato in passato nei campi dell’occupazione e della programmazione. Ultimo incarico nell’Elba, Ente lavoro Basilicata. Quando la Regione annunciò urbi et orbi di voler sfoltire i propri enti, alla fine ne fecero le spese nel 2008 solo tre organismi. Uno di questi, proprio l’Elba.
D’Agostino sottolinea subito che secondo lui lo sviluppo non è solo infrastrutture, produzioni, economia. C’è anche la cultura della società in cui si opera. E il clientelismo di gran parte della politica lucana blocca lo sviluppo.
«In Basilicata – scende nello specifico – ci sono funzionari regionali che fanno anche i consiglieri, gli assessori e addirittura i presidenti. La selezione del ceto politico dev’essere fatta con il criterio del merito. E poi, terminata la carica elettiva, bisogna tornare a casa. E non a fare di nuovo i funzionari».
«Oggi i provvedimenti – continua – sono giustapposizioni di atti di settore. Manca la cultura della valutazione, del monitoraggio. I centri di potere poi sono lontani da molte risorse, che vengono sprecate. Solo con i giovani che vanno via, si regalano al Nord 350 milioni di euro all’anno».
Cerca di essere sempre più chiaro, D’Agostino. E conclude così: «Ci sono molti poveri, il 25 % delle famiglie, e un altro 14 vi si avvicina. Ma non si fa nulla. Diciamocela tutta: questa – e alza la voce – è una regione che pensa solo al consenso».
E anche qui, dietro le espressioni dei presenti, non si capisce se si esprime voglia di cambiamento, speranza, disillusione, rassegnazione. O altro.
r.pezzano@luedi.it
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