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di FABIO AMENDOLARA Il Potenza Sport club aveva un presidente occulto: il boss Antonio Cossidente, 43 anni. Per gli investigatori è il capo di una delle famiglie mafiose del cartello criminale dei basilischi. Lui, nella società, contava più di Giuseppe Postiglione, 27 anni, imprenditore figlio di editore radiofonico e detentore del cento per cento delle quote del Potenza calcio. Lui era il «capo e promotore» di un’associazione a delinquere che il magistrato della procura antimafia definisce «di stampo mafioso» e il gip no. L’altro, Postiglione, «il presidente ragazzino», faccia da bravo ragazzo, sorriso sempre pronto, «era l’ideatore degli affari». Almeno secondo i carabinieri del nucleo investigativo di Potenza che all’alba di ieri hanno eseguito i nove arresti disposti dal giudice per le indagini preliminari Rocco Pavese e richiesti dal sostituto procuratore antimafia Francesco Basentini.
«Niente sirene e niente pubblicità», è scritto nell’ordinanza di custodia cautelare, che il Quotidiano ha potuto consultare. Le auto arrivano al comando provinciale dei carabinieri, in via Pretoria a Potenza, in silenzio. L’avvocato Gino Angelucci aspetta l’arrivo del suo cliente, il boss. Con i giornalisti è schivo. Saluta Simone Labonia, il suo collega del foro di Salerno che difende Postiglione, e si allontana. I fotografi si accalcano sulla scalinata che affaccia proprio sulla caserma. I ragazzi, prima di entrare a scuola, si fermano a guardare. Postiglione esce dalla caserma tra due carabinieri. Ha le mani libere. Saluta gli studenti: «Tranquilli, ci vediamo presto». Mentre lo fanno salire su un’auto con il lampeggiante acceso le agenzie di stampa battono le prime notizie: «Mafia e scommesse, in manette il presidente del Potenza Sport Club».
E’ una storia di scommesse, partite truccate, minacce e appalti. I protagonisti sono una società sportiva, una cosca mafiosa e la politica. Cossidente e Postiglione fanno la squadra. In gioco ci sono interessi e milioni di euro.
Luca Evangelisti, Raffaele De Vita, Pasquale Giuzio, Aldo Fanizzi, Donato Lapolla, Cesare Montesano, Ettore Todaro, Alessando e Michele Scavone, Giuseppe Botta e Marino Ianni, sono gli undici dell’altro Potenza Sport club, quello occulto. Altri manager di B e C1 sono ancora ignoti, ma i carabinieri li stanno cercando. «Gli affari», li chiamano gli investigatori. Sono le attività che interessavano ai due presidenti. Le descrivono i giudici in un’ordinanza di custodia cautelare di oltre cento pagine.

Gli appalti
C’è il «controllo» illecito di appalti pubblici. Come quello del progetto per la realizzazione del nuovo stadio a Potenza, su cui «l’organizzazione mafiosa» voleva mettere le mani attraverso le sue società: il Potenza calcio e l’Immobiliare Gemelli Srl. L’appoggio politico, secondo il pm antimafia, glielo garantiva il consigliere regionale Luigi Scaglione dei Popolari uniti. Sarebbe stato lui a «intercedere» con imprenditori «amici» da coinvolgere e a «intervenire» in Comune e in Consiglio regionale. In cambio, sempre secondo la ricostruzione del magistrato antimafia, c’era «l’appoggio» per la campagna elettorale. L’ordinanza descrive passo dopo passo quello che è accaduto pochi mesi fa nello studio di un consulente del lavoro di Potenza: il ragioniere Aldo Fanizzi. Un pentito riferisce che «l’hanno battezzato». Per i carabinieri «è organico al clan». L’incontro avviene nel periodo caldo della campagna elettorale per le politiche del 2008. Il gruppo di Cossidente, secondo gli investigatori, si occupava proprio «della propaganda elettorale». E, si legge negli atti della procura antimafia, «si interessava dell’esito delle consultazioni e soprattutto della posizione di un candidato». Il politico che in quel momento è nello studio di consulenza, però, non è il candidato sul quale hanno messo gli occhi Cossidente e i suoi compari. Lui non corre. Sta solo facendo campagna elettorale conto terzi. E’ lì. Nello studio del commercialista. Con Cossidente. E con Postiglione. Si parla di elezioni e di sport. Di calcio. Del Potenza calcio. E dello stadio. E’ tutto intercettato. «Troviamo una forma d’investimento intorno a che cosa?», chiede Scaglione. Poi si dà una risposta: «Ipotizziamo che una società costituita apposta che… in relazione ai rapporti col Potenza sia propensa a costruire un nuovo stadio…». Postiglione è d’accordo. Dice: «Nella maniera più categorica e assoluta sono d’accordo con te…». Scaglione prospetta l’eventualità che la realizzazione del nuovo stadio possa essere sostenuta anche grazie a finanziamenti pubblici. E, per questo, s’impegna «a parlarne in consiglio regionale». Dice: «Tu sai bene che arrivano milioni e miliardi… qualche volta…». Cossidente risponde: «Non cacciamo nemmeno i soldi alla fine». Annota il magistrato antimafia: «La dinamica dell’incontro e i passaggi dialettici sono davvero imbarazzanti». Scaglione parlando con l’Ansa si dice vittima della sua «passione» per il calcio. Il gip ritiene che lo scenario «si sia arrestato a una fase prodromica». La condotta del politico, insomma, non sarebbe «penalmente rilevante».

La violenza
Molto rilevante è invece «il controllo violento della tifoseria». Così lo definiscono gli investigatori. Perché nessuno doveva permettersi di contestare il presidente. Pena un duro intervento degli uomini di Cossidente. Ne sa qualcosa un tifoso, responsabile di aver «offeso» Postiglione nel corso di una contestazione della tifoseria. Postiglione si lamenta dell’episodio direttamente con il boss, chiedendo «vendetta per l’affronto subito». Cossidente gli promette di «sistemare la cosa». Manda due emissari: Michele e Alessandro Scavone. L’incontro tra il tifoso e il presidente avviene nello studio del ragionier Fanizzi. I due Scavone accompagnano il tifoso che, questa volta, se la cava con «uno schiaffone», come racconterà poi ai carabinieri. Ma le parole di Cossidente sono emblematiche: «L’importante è che i tifosi capiscano Postiglione vicino a chi sta».

Le pressioni sullo staff
Le violente interferenze di Postiglione e Cossidente, secondo gli investigatori, «si riverberano anche nella gestione dello staff tecnico del Potenza». Il responsabile del settore giovanile, ad esempio, secondo gli investigatori, «mostrava di non accettare alcune scelte». Risultato: gli incendiano l’auto. Non basta. Lo minacciano. Ecco il testo di un sms: «Fai il duro perché sei protetto dai carabinieri, ma presto pagherai tutto, infame di merda». Poi tocca a un suo collaboratore Tonino Lopiano. Michele Scavone lo sistema con un pugno in faccia. Il sistema sta crollando. Spiegano i carabinieri: «Lopiano è la persona indagata che, dopo aver beneficiato delle grazie di Postiglione e di Cossidente, chiedeva di essere interrogato, evidentemente in preda alla più disperata preoccupazione». Lopiano racconta tutto. O quasi. Omette di svelare i rapporti tra il presidente e il boss. Racconta però quello che sa del calcio scommesse.

Le partite truccate
L’aspetto sportivo dell’inchiesta è racchiuso in un sottocapitolo dell’ordinanza firmata dal gip Pavese. E’ quello che «presenta i profili più inquietanti». Secondo gli investigatori «è stata provata l’idea di un calcio professionistico completamente alterato da logiche delinquenziali e da interessi inquinati». L’ultima partita del campionato di C1 della stagione 2007/2008 è stata «condizionata da fattori illeciti». Con quella partita la Salernitana è stata promossa in serie B. «Perno centrale e leva dell’imbroglio calcistico – si legge nell’ordinanza – sono Postiglione e Cossidente, con l’illecita mediazione di Luca Evangelisti, alias “Capa di bomba”, consulente sportivo del Taranto fino al mese di novembre del 2007, poi passato al Martina Franca». Alle dichiarazioni di Lopiano si aggiungono quelle di un altro collaboratore del settore giovanile: Tonino De Angelis. I due svelano che le partite Potenza-Gallipoli e Potenza-Salernitana erano truccate. I carabinieri annotano: «I risultati delle due partite sono il frutto di un piano criminale». Nel corso della prima partita si sono verificate una serie di azioni violente che hanno costretto la squadra pugliese a subire la sconfitta, mentre prima della seconda partita Postiglione e il suo gruppo hanno combinato a tavolino con la dirigenza della squadra campana la vittoria della Salernitana. L’affare «a nero» è di 150 mila euro. Con questi stratagemmi, secondo gli investigatori, «il Potenza ha ottenuto la salvezza nel campionato di C1». E Postiglione, mentre parla dell’ultima partita, si fa scappare a telefono: «O mi salvo o non mi salvo, almeno mi sono fatto i soldi».

L’aiuto dei poliziotti
Dopo gli scontri con il Gallipoli la Digos stava per depositare un’informativa in procura. Qualcuno, però, secondo gli investigatori, la fa vedere prima a Postiglione. Si legge nell’ordinanza: «Il presidente dava il suo beneplacito» sui passaggi «concordati», dove era «artificiosamente elogiato il comportamento della dirigenza del Potenza e quello del suo presidente che faceva da paravento fisico tra i contendenti che si aizzavano». Tra le telefonate trascritte ce ne sono alcune con il capo della Digos Guglielmo Santimone. E altre con due ispettori: Giuseppe Botta e Marino Ianni.

Le scommesse
E’ sul calcioscommesse che si è concentrata l’attività degli investigatori. «La cosa certa e dimostrata – è scritto in un passaggio dell’ordinanza – è che Postiglione e i suoi fedeli collaboratori, grazie a personaggi inseriti nel circuito delle scotesse, conoscessero in anticipo i risultati di diverse partite di calcio, giungendo a scommettere ingenti somme di denaro. Consapevoli della illegalità delle loro azioni e per non attrarre i sospetti del mondo sportivo potentino si premunivano di effettuare delle vere missioni in trasferta». Anche questi particolari sono stati raccontati da Lopiano e De Angelis. L’attività, come al solito, era coordinata dal boss.

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