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Si è concluso con una condanna, nonostante l’opposta richiesta avanzata anche dal pubblico ministero, il processo a carico di Antonio Caracciolo, 59 anni, specialista in pneumatologia in servizio all’ospedale civile «Pugliese» di Catanzaro, chiamato a rispondere della morte di Giuseppe Falsetta, ventinovenne, che nel 2003 giunse al nosocomio per un malessere, fu visitato e dimesso e poi, tre giorni dopo, morì nella propria casa. La sentenza è arrivata oggi dal giudice monocratico di Catanzaro, Rosario Murgida, che ha inflitto al medico quattro mesi di reclusione, con concessione della sospensione condizionale, condannandolo inoltre al risarcimento del danno (che sarà liquidato in altra sede) alle parti civili, la madre ed i fratelli del giovane deceduto. Ed è stato proprio accogliendo la richiesta dei soli legali della famiglia Falsetta, gli avvocati Enzo Ioppoli ed Enzo Savaro, che il giudice ha condannato l’imputato, per il quale invece il pubblico ministero, Cinzia Santo, ha chiesto l’assoluzione, come ha fatto anche il suo difensore Nicola Cantafora. «Finalmente – hanno detto i legali dei familiari della vittima al termine del giudizio di primo grado – si è chiuso questo processo così lungo e doloroso, con il quale alla fine è stata fatta giustizia». Il process andava avanti da quasi cinque anni. Il rinvio a giudizio di Caracciolo risale al 16 febbraio del 2005, quando al termine dell’udienza preliminare il giudice accolse la richiesta formulata dal pubblico ministero, che al termine delle indagini ipotizzò il presunto comportamento negligente che il sanitario avrebbe avuto quando il giovane Falsetta, il 29 aprile del 2003, si recò in ospedale perché non stava bene. Il ragazzo non fu ricoverato ma, in day ospital, furono effettuati una serie di esami. Poi tornò a casa e lì, il 2 maggio, morì. Una tragedia di cui i familiari non riuscirono a farsi una ragione (proprio la loro denuncia diede il via all’inchiesta), la mamma di Giuseppe arrivò persino a scrivere al Presidente della Repubblica chiedendo che fosse fatta piena luce sull’accaduto. Poi le investigazioni, la consulenza di due medici legali, e infine la formulazione delle accuse. Secondo la Procura, in sintesi, Caracciolo avrebbe «sottovalutato e comunque non apprezzato adeguatamente i risultati significativi della radiografia che egli stesso aveva eseguito sul paziente, da cui si evidenziava un notevole aumento delle dimensioni cardiache», ciò specie considerato che egli sapeva del precedente intervento cardiochirurgico subito dal giovane e, di più, avrebbe dovuto mettersi in allarme per la sintomatologia da lui accusata.

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