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di ANTONELLA CIERVOVUOLE laurearsi e diventare insegnante.
La brutta esperienza vissuta non ferma Flavia Salbini, 26 anni, studentessa in scienze della formazione primaria («Mi mancano quattro esami per la laurea, sono un po’ in ritardo – ammette), diventata suo malgrado protagonista della vicenda che portò all’arresto del prof. Emanuele Giordano nel luglio 2008, nell’ambito dell’operazione “Privè” condotta dalla Squadra Mobile di Matera.
Ospite de L’Arena condotta da Massimo Giletti si Raiuno, Flavia ha ripercorso i momenti più difficili di quella storia, culminati nelle avances del docente di lettere all’Università di Matera.
Quei ricordi, riemersi ancora con difficoltà, hanno riaperto ferite che ormai si stanno rimarginando, pur con grandi difficoltà. La lotta interiore non è stata facile da superare, lo si nota ancora oggi mentre parla senza riuscire mai a tener ferme le mani; forse un modo per scaricare la tensione che in questi giorni è salita su di nuovo, forte come due anni fa.
«Ho effettuato un percorso molto difficile – racconta al Quotidiano – quando vivi un’esperienza come quella che ho vissuto io, ti metti in discussione, temi che la scelta di denunciare il fatto possa influenzare gli studi, creare problemi all’interno dell’Università. Per molto tempo non sono più uscita più di casa, non ho incontrato più nessuno. Con il passare del tempo mi sono fatta forza e ho deciso di partecipare a L’Arena per lanciare un appello a chi ha vissuto o vive un’esperienza come la mia: bisogna denunciare. Sempre, senza avere paura di ciò che può accadere dopo, o dell’imbarazzo nel dover descrivere i particolari alle forze dell’ordine».
Dal giorno in cui, nella stanza del professore, le attenzioni dell’uomo divennero più morbose trasformandosi in vere e proprie molestie, Flavia è passata attraverso dubbi, timori pur nella consapevolezza di non essere mai sola. «La mia famiglia, i miei amici e Antonio Grande , il poliziotto che per primo ha raccolto la mia testimonianza. Sotto il profilo umano e psicologico mi ha aiutato moltissimo, diventando un vero amico così come la sua famiglia e come gli uomini della squadra Mobile della Questura che mi hanno seguita dal primo momento».
Le voci, all’interno dell’università, racconta ancora Flavia, si rincorrevano già da tempo, ma nessuna delle vittime, a quanto pare, aveva mai avuto il coraggio di parlare.
«In generale i docenti rispettavano il loro ruolo: loro professori e noi allievi, su due piani ben definiti». Un atteggiamento che, per Flavia, si è dimostrato, però fuorviante. Le attenzioni di Emanuele Giordano, infatti, le erano sembrate un segnale di disponibilità.
«Aveva detto a me e alla mia collega che ci avrebbe aiutato, fornendoci materiale da studiare – ricorda – e io mi ero detta che per fortuna avevano trovato un professore così». La realtà, invece, aveva ben presto superato la fantasia quando, nel 2007, le due ragazze vengono convocate dal professore nella sua stanza. Immaginano di doverlo incontrare per esaminare il materiale utile alla tesi. Le studentesse, però, si trovano all’improvviso vicine al professore che comincia a toccarle.
«Io gli spostavo le mani – continua a raccontare Flavia – ma lui continuava, faceva finta di niente. Poi finalmente siamo uscite da quella stanza. La mia amica ha cominciato a correre e a piangere. Io l’ho calmata ma nel frattempo pensavo a quello che era successo. Poi ho raccontato tutto a mio padre, ex poliziotto, che mi ha consigliato di decidere in assoluta autonomia, pur avvertendomi che avrei dovuto affrontare momenti difficili come il processo. Quando sono andata in Questura – aggiunge – erano tutti uomini, per me non è stato facile raccontare tutto ma sono stati talmente disponibili con me, da convincermi che quella era stata la decisione giusta».
L’Arena di Massimo Giletti le è valsa l’abbraccio affettuoso di molti suoi concittadini, al suo ritorno a Matera.
«Ho incontrato un uomo anziano che, dopo avermi fissato, mi ha chiesto se ero io la ragazza che era stata ospite della trasmissione e mi ha abbracciata. Anche su Facebook ho ricevuto moltissime mail di chi, vivendo la stessa esperienza, mi chiedeva consigli su come comportarsi». Il velo del silenzio, insomma, è scivolato grazie al volto di Flavia che in pochi minuti in diretta tv, ha ricordato a chi sceglie l’università per completare i propri studi, che la dignità e i valori sono e devono essere il vero patrimonio da tutelare.
«Finora mi sentivo in gabbia. Questa vicenda era una parte della mia vita che avevo vissuto drammaticamente, ma che non potevo raccontare».
L’incontro con il prof. Giordano è stato inevitabile: «Dovevo verbalizzare dei laboratori che avevo sostenuto, ma in quell’occasione ho preferito farmi accompagnare da alcune amiche. Ho ignorato la battuta che il prof. Giordano mi ha fatto («Ti sei portata la scorta?») e sono andata via subito dopo».
Al processo, però, non è stata necessaria la sua presenza. A rappresentarla c’è stato il suo legale, l’avvocato Marinelli. «Per fortuna – ammette.
Maglioncino grigio e bianco, pantaloni neri, volto acqua e sapone, Flavia è in apparenza una ragazza come tante altre, matricole che si incontrano nei corridoi delle facoltà universitarie, laureande in attesa di concludere la carriera universitaria per tentare quella professionale.
Il dolore di quella parte della sua vita, risiede ancora dentro di lei. Basta chiederle cosa pensa della sentenza del tribunale nei confronti del professore: «Non mi è piaciuta – dice, stringendo i manici della sua borsa.
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