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Il tema del sovraffollamento delle carceri italiane è stato affrontato da 90 detenuti del carcere di Matera che, in una lettera aperta, esaminano anche la possiiblità di applicare pene alternative, come previsto dalla legge. Dalle celle chiedono più dignità anche per chi ha sbagliato. Ecco il testo integrale della lettera:
I DETENUTI della Casa Circondariale di Matera, si permettono di richiamare l’attenzione delle autorità competenti, sul problema del sovraffollamento delle carceri in Italia.
A parere degli scriventi, la risoluzione del problema “sovraffollamento”, non può essere affrontata esclusivamente immaginando la realizzazione di nuove carceri, anche se quello delle nuove carceri è un problema ché esiste, perché le carceri che ci sono in Italia sono indegne, sono un’offesa alla dignità degli operatori penitenziari e delle persone detenute.
Sono un’offesa per le persone che accedono in istituto per parlare con i propri cari, un’offesa nei confronti dei magistrati che vengono a fare i loro atti giudiziari dentro le carceri: a noi detenuti e’ stata già sottratta la liberta’, non puo’ esserci tolta anche la dignita’.
La soluzione del predetto problema non sta, a parere degli scriventi, nell’investire nell’edilizia penitenziaria, questo perché tal investimento non è supportato dalle necessarie risorse economiche e perché per la sua realizzazione occorrono tempi lunghi, mentre il disagio è attualissimo e necessita di un intervento immediato.
Infatti le carceri italiane “scoppiano” di detenuti. Se a tal problema si è cercato di dare una soluzione con l’istituto dell’indulto, che appena due anni fa aveva messo fuori circa 25 mila persone riducendo a 33.326 i detenuti (record minimo storico), lo stesso si è rivelato un provvedimento di scarsa efficacia, perché estemporaneo.
II problema del sovraffollamento riguarda la maggior parte degli istituti di pena italiani; tal fenomeno non consente al personale della polizia penitenziaria, già fortemente ridotto perché impegnato anche nei servizi di scorta, di svolgere il proprio lavoro in maniera adeguata e con garanzie di sicurezza; per questo in diverse occasioni la Uil degli agenti di polizia Penitenziaria ha più volte sollecitato il ministro della Giustizia, l’On. Angelino Alfano attualmente, a convocare un tavolo permanente sui gravi problemi, senza ottenere, purtroppo, alcuna risposta.
Il nostro civilissimo Paese è stato condannato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per aver violato l’articolo 3 della Convenzione quello che vieta «trattamenti inumani e degradanti e per la prima volta, è stato sanzionato a causa della «mancanza di spazio in Cui costringe a far vivere gli “ospiti” delle patrie galere.
Siamo di fronte ad un sistema giudiziario carente e male organizzato, che compromette le vite di persone sempre più spesso condotte sulla soglia della disperazione; non a caso negli ultimi anni si è assistito ad un’ impennata numerica dei suicidi e dei tentativi di suicidio, riconducibile anche ad un carente sostegno di assistenti psicologi che seppur presenti all’interno degli istituti carcerari non riescono a garantire un efficiente servizio dato l’elevato numero di detenuti.
Se da un lato le carceri servono per punire chi ha sbagliato, dall’altro devono essere finalizzate al recupero e alla graduale reintegrazione del carcerato che dia dimostrazione di aver compreso l’errore commesso.
La strada dell’adozione di pene alternative, quali l’affidamento in prova ai servizi sociali, la semilibertà o anche gli stessi arresti domiciliari, per i detenuti che hanno compiuto reati minori o che sono prossimi al fine pena, o che comunque sono nei termini per potervi accedere, potrebbero fornire una soluzione meno dispendiosa e più efficace rispetto a quella prevista per la costruzione di nuove carceri e permetterebbe, soprattutto, di risolvere in parte il problema del sovraffollamento. Quando si è di fronte ad un detenuto con condanna definitiva, divenuta esecutiva poiché sono stati espletati tutti i gradi di giudizio e/o vi è stata rinuncia all’appello o alla Cassazione, basterebbe incentivare l’utilizzo delle misure alternative alla detenzione in carcere previste dall’ordinamento penitenziario, a garanzia di una prospettiva di reintegraione degli individui nella società.
Sono molti i detenuti che si trovano in questa situazione, ossia che stanno in carcere ma che potrebbero usufruire di una delle misure alternative previste dalla legge da intraprendere sulla base di un programma lavorativo. Occorrerebbe, pero, è qui è la nota dolente, che il Tribunale di Sorveglianza riconoscesse la possibilità ai detenuti che sono prossimi al fine pena, che durante tutto il periodo di detenzione all’interno dello stabilimento carcerario hanno sempre dimostrato un atteggiamento propositivo, che abbiano dimostrato durante la detenzione la volontà di intraprendere un nuovo percorso personale, la possibilità di avvalersi delle precitate misure alternative.
Nella realtà quotidiana dei Tribunali di Sorveglianza ed anche in quella degli Uffici di Sorveglianza per la parte di loro competenza, l’ammissione alle misure alternative e/o ai permessi, anche in presenza dei requisiti previsti e dei pareri favorevole degli operatori e dei direttori dei carcere, resa sottomessa alla valutazione personale del magistrato che il più delle volte ha esito negativo. E’ chiaro che in taluni casi il comportamento del detenuto può non essere irreprensibile e presentare per esempio delle note di richiamo, che benché denotino una certa insofferenza, in quanto relativa ad episodi spiacevoli che pur possono verificarsi all’interno del mondo carcerario, potrebbero essere valutate un po’ più benevolmente anche alla luce dello stress a cui un sovraffollamento, inevitabilmente, sottopone soggetti internati che, già di per sé, sono sicuramente più nervosi.
Con questo non vuole crearsi un alibi! E’ ovvio che se un soggetto è ristretto in carcere, a meno che non sia innocente, vuol dire che ha posto in essere comportamenti antigiuridici e per questo deve “pagare” il suo debito con lo stato, ma è altrettanto vero che il “pagare” deve essere proporzionato al reato commesso!
Noi detenuti, chiediamo una applicazione estesa delle misure alternative, dal lavoro esterno alla semilibertà, attraverso un piano di lavori socialmente utili.
La risposta non può essere affidata all’edilizia penitenziaria, alla costruzione di nuove carceri, alla faraonica pretesa di costruire per il 2012 quindicimila nuovi posti nelle carceri italiane, dissipando ingenti risorse economiche per un risultato che già oggi sarebbe insufficiente a ricondurre nella legalità le carceri italiane.
Sosteniamo piuttosto la ristrutturazione del patrimonio esistente per renderlo coerente con i principi definiti con chiarezza assoluta dalla Costituzione per definire il senso della pena e per garantire la risocializzazione, nel rispetto dei diritti previsti dalla Riforma penitenziaria del 1975 e dal regolamento del 2000, affinché la pena sia scontata in condizioni di umanità e dignità come previsto dalle Convenzioni internazionali.
Questo non vuol essere un generico appello, ma il primo anello di una catena di azioni pubbliche finalizzate alla realizzazione di impegni concreti e credibili.
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