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di GIOVANNI MARTEMUCCI
STOP ai vandali e al degrado di Piazza Mulino. Lo spazio moderno progettato dall’architetto Carlo Aymonino con Raffaele Panella e Piergiorgio Corazza verrà delimitato dai cancelli. La loro messa in opera è quasi terminata. Con questo intervento la piazza simbolo della Matera anni ‘90 perderà la dimensione scultorea ascritta all’architettura, diventando forse un luogo più freddo e anonimo. Sicuramente, però, i suoi abitanti tireranno un sospiro di sollievo perché si metterà la parola fine all’inciviltà che negli ultimi anni è stata l’unico imperativo in tutti gli spazi della piazza, da quelli visibili agli anfratti più nascosti. Con l’istallazione dei cancelli si sancisce, sotto certi aspetti, una sconfitta per la società civile materana, incapace di inculcare nei più giovani il valore ed il rispetto della cosa pubblica. Non sono bastate le telecamere o la sorveglianza della vigilanza privata ad evitare i graffiti sui muri, la pavimentazione saltata, o l’utilizzo della piazza come latrina. Da anni ormai le scritte “sporcano” le pareti, mentre le bottiglie disseminate ovunque sono il simbolo del vandalismo notturno alimentato da alcool e da sostanze stupefacenti. E sicuramente non si tratta dell’inflazionato “disagio giovanile” visto che i giovanissimi frequentatori di piazza Mulino sono perlopiù di buona famiglia. Le cause del degrado di questa opera di architettura recensita, a suo tempo, dalle più prestigiose riviste italiane di architettura sono da ricercare altrove. Maleducazione, noia, voglia di “esprimersi”? Difficile dirlo. Ora con l’apertura ad orari prestabiliti, dalle ore 7 di mattina fino alle 22, la Piazza dei giovani, che loro chiamano in slang “Piazza Kè” o “Pikappa” diventerà uno spazio blindato, inviolabile. Di mattina cancelli aperti per usufruire degli uffici e del collegamento tra via Passarelli e via Lucana, di sera dopo le 10 un bunker, che diventerà oasi di pace per i condomini, stanchi e rassegnati da anni di battaglie per fronteggiare questo esercito agguerrito di giovani armati di pennarelli e spray pronti ad imbrattare tutto. Bulli che hanno spaccato lastre di marmo e lampade e che hanno sporcato ovunque persi nella loro ebrezza. Un destino poco felice quello di piazza Mulino che, in qualche modo, forse lo stesso progettista Aymonino teorizzava quando afferma che “dopo vent’anni è bene guardarsi in faccia per scoprire i segni lasciati dall’architettura, dalla storia e dall’amore e le ferite del poco denaro”. Una sorta di “mea culpa” per l’architettura che è espressione della società che l’ha prodotta. Così è arrivato il tempo di correre ai ripari: con la decisione presa dal Comune lo scorso 4 aprile la piazza dovrebbe iniziare un percorso di riqualificazione, anche civica. Si perché almeno una domanda i tanti ragazzi che frequentano la piazza se la faranno: perché l’hanno chiusa? Magari non risponderanno e si sposteranno altrove con le stesse identiche abitudini. Però quello spazio non sarà più loro. Lì non potranno più esprimersi. Perdendo un luogo simbolo del loro modo di essere i giovani avranno incassato una sconfitta? Se si sentiranno sconfitti, non saranno gli unici. La sconfitta sarà soprattutto della città che perde un luogo di relazione ben calibrato tra la struttura urbana e la soluzione architettonica. La perdita di un luogo di aggregazione, chiuso dalle grate, rappresenta la perdita stessa di parte dell’identità culturale di una città piegata ai bassi voleri dei suoi giovani. Un’arancia meccanica che impone una nuova identità urbana. Forse vuota e priva di senso.
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