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di LUCIANO CONTE
La caduta del Muro di Berlino, nella nottata fra l’8 e il 9 novembre del 1989, detto il “Muro della Vergogna”, eretto il 13 agosto 1961, per dividere in due la città, fra una zona Ovest, controllata dagli Alleati e una zona Est, controllata dai Sovietici, ha cambiato la storia del mondo. L’ha cambiata, perché era il simbolo della “guerra fredda” e della divisione dell’Europa, in blocchi contrapposti, conseguenza della vittoria sul nazismo che, invece di realizzare un mondo più libero dopo la violenza hitleriana, operò una divisione del mondo in “zone d’influenza”, facendo prevalere “la ragione di Stato” alle aspettative dei popoli. Ragioni politiche di difesa dei territori prevalsero, all’indomani della guerra, nelle conferenze interalleate (Jalta e Potsdam, 1945) per confermare la tendenza alla spartizione che illuse la grande speranza dei popoli. Sulla base di queste tesi, fu facile nei trattati di pace di Parigi (1947) trovare un accordo fra i quattro Grandi (Stati Uniti, Russia, Inghilterra e Francia), con la sola eccezione della sistemazione della Germania sconfitta, per la paura che uno Stato tedesco unito potesse rinnovare il pericolo scongiurato, dopo una guerra sanguinosa e pericolosa per la libertà dei popoli. La Germania fu divisa in quattro zone (americana, inglese, francese e sovietica), sulla base della dislocazione militare al termine della guerra, con Berlino, che assegnata territorialmente ai Sovietici, restò divisa in due: la zona Ovest, sotto controllo delle potenze occidentali e la zona Est, sotto il controllo sovietico. La Russia, per meglio garantire la propria sicurezza, stabilizzò il controllo sui Paesi dell’Est europeo e trasformò quegli Stati in “Stati satelliti” a sovranità limitata, a regime comunista. Una situazione che caratterizzò la storia degli ultimi decenni del Novecento, fino alla crisi e alla dissoluzione dell’Urss. La “cortina di ferro”, quella linea immaginaria che da Stettino arrivava a Trieste, divideva l’Europa, con il pericolo reale di un conflitto possibile, basato sull’equilibrio del terrore atomico e su una rivalità ideologica fra il “mondo della libertà” e quello del “socialismo reale”. Conseguenza di tutto questo fu la costruzione del “Muro di Berlino” e la creazione a Est della Repubblica democratica tedesca, che nelle intenzioni dei sovietici doveva diventare uno “Stato modello”; la mancanza di dibattito politico, la burocratizzazione del partito unico e le delusioni conseguenti alla crisi del “socialismo reale” diffusero un generale malcontento con lo sguardo rivolto all’Occidente, come terra promessa, tanto che 12 milioni di profughi (soprattutto mano d’opera) accolti nella Germania federale concorsero a realizzare il miracolo economico tedesco. Il muro fu la inevitabile conseguenza di questo esodo, che andava fermato, con l’ordine dato alla polizia di frontiera di sparare a vista su quanti osassero passare nella zona occidentale. Qualche dato illumina su questo drammatico tentativo di fuga da Berlino Est: 3000 persone fuggite, circa 900 uccise, 850 ferite, un numero imprecisabile di arrestati, sicuramente molte migliaia, tutti con il desiderio di inseguire il sogno della libertà. L’esplosione della popolazione all’abbattimento del muro, con feste e canti per le vie di Berlino, appariva, dunque, oltremodo giustificata; resta, tuttavia, da spiegare l’interrogativo: perché cadde quel muro? Per una esigenza di libertà, seguita alla crisi dei regimi comunisti dell’Europa orientale, che in quel muro avevano sognato l’utopia del socialismo, mentre per noi significava lo spartiacque fra democrazia e totalitarismo. In questo senso la caduta ha segnato la fine di un’epoca ed ha aperto la storia del terzo millennio, ancora da scrivere.
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