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di ROCCO PEZZANO
QUESTA volta associazioni anti-petrolio e comitati cittadini dello stesso indirizzo saranno contenti: l’Eni rinuncia a cercare il petrolio in due aree della Basilicata.
La società italiana ha ufficialmente rinunciato alle istanze di permesso di ricerca “Fiume Bradano” e “Monte Carbone”.
La prima si estende fra le province di Matera (per quasi 200 chilometri quadrati) e Taranto (121 chilometri quadrati).
La seconda, Monte Carbone, invece è più vasta e passa dal Materano (per 369 chilometri quadrati) alle province di Bari e Taranto (per 127 chilometri quadrati).
La rinuncia dell’Eni appare in effetti curiosa se la si guarda alla luce dell’iter burocratico seguito.
“Fiume Bradano” era stata avanzata dall’Eni il 31 ottobre del 1999: dieci anni tondi.
L’Eni, il 25 gennaio del 2002, aveva scritto alle Regioni Basilicata e Puglia, oltre che ai Comuni di Bernalda, Montescaglioso, Pomarico, Pisticci, Ginosa e Castellaneta per dire: «Il Comitato tecnico per gli idrocarburi e la geotermia, nella seduta del 25 ottobre 2000, ha dato parere favorevole all’istanza di permesso di ricerca “Fiume Bradano”».
Fra le tante corrispondenze istituzionali fra i soggetti interessati (ministeri, Regione e azienda) si contano sedici passaggi. Vari i “solleciti”, di solito nei confronti della Regione.
Il massimo ente territoriale in particolare veniva sollecitato dal 21 settembre del 2007 perché si esprimesse sulla cosiddetta “intesa”, l’atto finale con cui la Regione esprime le sue considerazioni sulle questioni ambientali.
La Regione alla fine dice la sua il 7 aprile del 2008 con un “assenso”. Dunque via libera anche dalla Basilicata.
Perché l’Eni dice di no? L’atto finale – il decreto del ministero che è l’ultimo ad avere parola e non deve ascoltare alcun ente locale – non era stato ancora emenato e dunque non ci sono state ancora le ricerche da parte della società: in quel caso, si potrebbe pensare che l’Eni abbia verificato che il petrolio non c’è e amen. Ma non sembra il caso. E allora?
Ancora più curioso il caso dell’istanza “Monte Carbone”. L’Eni attende dal 31 agosto del 2006 di poter mettere le mani nel sottosuolo e sapere se c’è petrolio o meno.
Anche in questo caso, solita trafila di solleciti, fasi interlocutorie, documenti che viaggiano in buste gialle fino al 31 maggio del 2008, quando l’istanza viene pubblicata sul Buig, che è la gazzetta ufficiale degli idrocarburi. Il 7 aprile dello stesso anno la Regione aveva dato il proprio assenso con l’intesa.
L’aspetto più strano: l’8 aprile del 2008 l’Eni aveva chiesto l’ampliamento dell’area di ricerca. Quindi, un anno e mezzo fa l’Eni manifestava l’intenzione di ampliare l’area della ricerca (e aveva prodotto la sua brava domandina al ministero).
Cosa sia accaduto è assai difficile saperlo: su questi aspetti le compagnie petrolifere non amano spiegare politiche e strategie.
Un’altra notizia che interessa – sebbene non direttamente – la Basilicata è quella di un nuovo permesso di ricerca in mare, nel mar Tirreno, Golfo di Policastro, in Calabria. Si tratta non di petrolio ma di geotermia, ossia di energia l’energia generata per mezzo di fonti di calore provenienti dal sottosuolo.
La ricerca di fonti geotermiche è stata affidata dal ministero alla società Eurobuilding, che ha sede a Servigliano in provincia di Ascoli Piceno.
Il Golfo di Policastro è Calabria e non Basilicata ma, in periodi caldi di “navi dei misteri” e sonar nelle acque di Maratea, non mancherà di colpire l’attenzione di ecologisti e cittadini.
r.pezzano@luedi.it

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