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di ENZO ARCURI
Scommettiamo che alla fine della storia a farne le spese sarà questo ndranghetista che non adesso ma anni fa ha squarciato il velo dell’omertà attorno al traffico illecito dei rifiuti tossici che hanno sporcato la terra ed il mare della Calabria? Probabilmente non solo sarà ritenuto inattendibile, come già peraltro viene anticipato, non solo gli sarà negata la protezione che da tempo chiede, ma gli sarà magari presentato anche il conto delle spese che lo Stato ha sostenuto per verificare le sue rivelazioni. Scommettiamo anche che alla fine qualcuno chiederà il conto pure al magistrato di Paola, che, di fronte ai nuovi, sconvolgenti elementi emersi dagli accertamenti compiuti nella zona di Aiello Calabro, ha deciso, riprendendo le rivelazioni fatte in epoca non sospetta dal pentito di ‘ndrangheta, di dare la caccia ad una delle tre navi a perdere cariche di materiale tossico (radioattivo?) e che il pentito si è accusato di avere affondato nelle acque del mare Tirreno, al largo di Cetraro e di Maratea, e nello Jonio al largo della costa reggina? Magari qualche buontempone potrebbe chiedere al ministro della Giustizia di disporre una bella ispezione, di quelle che appunto non si negano a nessuno. Sono, è vero, fantasticherie, ipotesi estreme, roba da non crederci, ma tutto può accadere in questa storia che sta riservando nuove sorprese e sta alimentando interrogativi sempre più inquietanti. Ed attorno alla quale si è anche innescata una scandalosa speculazione politica. I fatti da cui non si può prescindere. Capita, ad un certo punto, che la Calabria scopre di essere una terra avvelenata. A Crotone si accerta che i rifiuti tossici della Pertusola sono serviti per costruire strade o sono stati interrati sotto edifici pubblici, soprattutto scuole. A Praia a Mare, dopo più di dieci anni, si chiude la fase istruttoria di un’indagine su un lungo elenco di morti per tumore, tutti dipendenti della Marlane, lo stabilimento tessile ormai chiuso che usava sostanze fortemente nocive interrandone i rifiuti qua e là nei dintorni. Ad Aiello Calabro vengono rilevati nell’area del fiume Oliva indici di radioattività superiori a quelli normalmente tollerati, in una zona poco distante dalla spiaggia di Amantea dove anni fa si era arenata una nave, la Jolly Rosso, di cui si è tanto chiacchierato, al centro di inchieste della magistratura che si sono aperte e chiuse senza fare chiarezza. Ce ne è abbastanza per fare riemergere antiche paure, per riaprire capitoli che un magistrato rigoroso ed attento, il dottore Neri, già negli anni 90 aveva tentato di esplorare, costretto alla fine ad arrendersi dai molti ostacoli frapposti soprattutto da chi avrebbe avuto invece il dovere di favorirne il lavoro. In questo clima, un magistrato,il procuratore della repubblica di Paola, il dottore Giordano, vuole accertare verità probabilmente scomode. Questo magistrato riprende in mano i verbali del pentito di mafia a proposito delle navi che la ‘ndrangheta di San Luca ha fatto affondare al largo dei mari calabresi, su incarico ricevuto a suon di miliardi da personaggi, riconducibili, dice il pentito, ai servizi. Il suo ufficio non ha però le risorse finanziarie necessarie per tentare una verifica in mare. Interviene, a questo punto, la Regione e mette a disposizione della Procura di Paola un’imbarcazione specializzata dotata di uno speciale robot. Prendono così forma le prime immagini del relitto di una nave che si sospetta essere quella del racconto del pentito. La faccenda diventa grossa, intervengono i magistrati della direzione antimafia, si muove la politica, si chiede al governo di fare la sua parte. I calabresi si mobilitano, l’adesione all’appello del Quotidiano testimonia la grande partecipazione dei cittadini, la manifestazione di fine ottobre ad Amantea conferma la profonda preoccupazione della gente che vuole sapere la verità. E questa verità arriva dopo qualche giorno dal ministro dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, che aveva inviato a Cetraro la nave Mare Oceano, e dal procuratore antimafia Grasso. E’ una verità altrettanto sconvolgente. Il relitto esplorato, con le sue sofisticate apparecchiature, dall’Oceano mare non è quello della nave affondata dalla ‘ndrangheta, ma di un piroscafo affondato da un siluro tedesco nel 1917 durante la Prima guerra mondiale. Tutto chiaro allora? Il caso è dunque chiuso? Manco per niente. Se qualcuno a Roma, nei palazzi della politica o nelle alte sfere dello Stato, sperava di chiudere la partita seppellendo sotto un’altra montagna di polvere questa brutta vicenda, ha commesso un errore grossolano. Perché le conclusioni dell’indagine della Mare oceano, illustrate dal ministro, e il commento, forse frettoloso ed incauto del magistrato antimafia, non hanno fatto tirare un sospiro di sollievo alle popolazioni in fermento delle aree sotto esame, non hanno rasserenato il clima, non hanno fatto scemare tensione e preoccupazione. Anzi la faccenda si complica, le notizie rimbalzate da Roma appaiono poco convincenti, si moltiplicano sospetti e dubbi, si alimentano, come è stato già sottolineato, nuovi interrogativi. L’individuazione del piroscafo affondato più di 90 anni fa e di cui c’è traccia da sempre nei registri nautici puzza di bruciato, ha il sapore di una scoperta annunciata, una soluzione costruita a tavolino per impedire di venire a capo di una storia che rischia di travolgere pezzi importanti scoperchiando una pentola devastante con i suoi torbidi misteri, alcune morti inquietanti, l’intesa inconfessabile fra la ‘ndrangheta e frange dello Stato. Pare di capire che a muovere i fili di questa trama inquietante possa esserci la ragione di Stato. Probabilmente ci ha azzeccato l’assessore regionale all’Ambiente, che, difendendo il diritto dei cittadini calabresi a pretendere la salubrità del proprio territorio e dei propri mari, ha richiamato il segreto di Stato, esprimendo non poche perplessità sull’esito dell’indagine affidata alla Mare oceano e per questo è stato messo sotto accusa dalle opposizioni che strumentalmente, alla vigilia di una infuocata campagna elettorale, ne hanno addirittura chiesto le dimissioni. Ma polemiche politiche a parte, la vicenda delle navi dei veleni non può continuare a dipanarsi fra improbabili verità e nuovi misteri. Ci dovrà pure essere un giudice a Paola o a Catanzaro o a Reggio che vorrà e potrà arrivare fino in fondo.

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