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di ANNA ROSA MACRÌ
Diciamolo: gli unici/uniche a mantenere una loro dignità di persone, nel bene e nel male autentiche, nella Marrazzo story, popolata com’è di politici dalla carne troppo debole, di guardie che diventano ladri, di tiranni buoni troppo ben informati delle malefatte dei loro sudditi, sono la Brendona e Natalie: le uniche/unici a fare la loro parte di prostitute/i, che senza ambiguità vendono il loro corpo superambiguo un tanto al chilo, una spolverata, forse, di neve addosso, per non morire di disperazione, e così sia. (E attenzione, a chi come noi maneggia le parole: non tutti i trans sono prostitute, ma persone, che vivono la loro natura beffarda non come vizio ma come disperata condanna). Tutto il resto è noia, diceva il poeta. Noia da basso impero che implode: ricatti e videotape, vizietti e camere da letto en plein air, mogli-sante-subito tanto sono comprensive, toto-clienti della Brendona ancora da scoprire (ne circola una lista, ma non la dirò neanche sotto tortura), auto blu posteggiate sotto compiacenti case senza portiere. Squallore a chili. Non ci hanno risparmiato neanche il ritiro del colpevole in convento, come le fedifraghe nei romanzi d’appendice, con lo strascico inevitabile di allusioni e strizzatine d’occhio di chi ama barzellette e scherzi da prete. Ma perché Boccaccio, pace all’anima sua, non si rivolti nella tomba, perché tutto, qua, è una parodia della parodia, non si può, come si dice, buttare tutto in vacca. C’è una storia nella storia inquietante, sfuggita tout court a quello straccio di opposizione che ancora ci resta e per fortuna sviscerata da un paio di giornalisti che ancora in questo paese satollo e obnubilato sanno ragionare e hanno il coraggio di farlo: D’Avanzo (Repubblica), Gramelllini (La Stampa) e De Gregorio (L’Unità). Parlo della telefonata di Silvio Berlusconi, non smentita da lui medesimo, questa volta nelle vesti di papi-di-Marina, che è presidente della Mondadori: avvertito dalla figlia, lui (che nel frattempo è sempre il presidente del Consiglio) avverte a sua volta Marrazzo del guaio che gli sta succedendo – un video compromettente che un’agenzia offre ai giornali per una montagna di soldi – e gli dà le dritte, insomma il numero di telefono, per acquistarlo dalla suddetta agenzia. Oh, parbleu: non è lo stesso identico giochetto, mutatis mutandis, è il caso di dire, che faceva quel buontempone di Fabrizio Corona e per il quale un Tribunale ha chiesto più di sette anni di reclusione? Possibile che nessuno si è accorto che decidere, nelle vesti di papi dell’editore di non pubblicare quel servizio video-fotografico non è buonismo o magnanimità, ma equivale esattamente a pubblicarlo, nel senso che la dice lunga sul controllo totale, da parte del papi-di-Marina, forse solo su una parte dell’ informazione, ma certo su gran parte delle “informative” che circolano a chili ormai nelle redazioni di certi giornali e che possono distruggere politici, imprenditori, giornalisti e padri di famiglia. (Vi ricordate l’ultimo editoriale di Mario Giordano prima di lasciare “Il Giornale” a Vittorio Feltri mani-di velluto?) Chi ha il potere di vita sui suoi sudditi (decidendo di Non pubblicare cose compromettenti che li riguardano) ha anche quello di morte (civile) su di loro, se decide viceversa di pubblicare foto o veline o dossier. Ma siccome il papi dell’editore è anche il papi degli italiani (non di tutti, vivaddio, c’è qualcuno, come noi, che preferisce essere orfano o figlio, come si diceva una volta di enne enne) e allora (scusate, sto per usare una parolaccia) il conflitto d’interessi (questa è la parolaccia!) è in-so-ste-ni-bi-le! Se poi mettete la vicenda Marrazzo accanto alla ignobile condanna a morte (civile) di Dino Boffo, passata per il giornale di famiglia per antonomasia, “Il Giornale”, appunto, al video inqualificabile, degno della Stasi della ex Ddr, della opaca giornata qualunque del giudice Raimondo Mesiano in calzini turchese, passato per la televisione ammiraglia di famiglia, Canale 5, capite che la vera cassaforte di famiglia, appunto, sono le televisioni e i giornali in possesso del presidente-papi-dell’editore, usati come clave che distruggono o assolvono persone su cui si ha il potere di vita o di morte (civile). Ma c’è un’altra storia nella storia. Tutta di etica politica, questa, e riguarda il Partito Democratico, e i suoi modi del reclutamento delle forze in campo, insomma il metodo di individuare i suoi candidati. Alla guida di Comuni, Province, Regioni. O a occupare un posto alla Camera, o al Senato, o al Parlamento Europeo. Non siamo nostalgici delle scuole di partito (o forse un po’ sì), ma del tirocinio delle scarpe impolverate per piazze e per quartieri certamente sì. E pure degli incontri con la gente, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, nei teatri. Passione e fumo di sigaretta, stanchezza e tutti in pizzeria, come si usava una volta. Siamo tra quelli che credono ancora, vabbé pure se non si fuma più nelle assemblee e una comparsata a “Ballarò” vale più di mille comizi, e la rete ha preso il posto della piazza, che la politica sia una cosa seria, complicata, appassionante, nobile e bella. Sì, persino bella, come dice in punto di morte quel vecchio militante di “Baarìa”. Non può essere che a gestirla siano veline, showgirl e attricette, come non ci piace facciano quelli del centrodestra. Ma neanche mezzi busti, volti televisivi, conduttori di tiggì e di talkshow, come fanno quelli del centrosinistra. “Gente che non è mai riuscita a diventare una firma, diceva Biagi, e che ce l’ha fatta solo a diventare una faccia”, senza nessun altro merito che quello dell’apparire e di conquistare un decente share televisivo, promossa a occupare un seggio al Parlamento italiano. Qual è il nesso qualcuno me lo spieghi. Gente che avrebbe qualche difficoltà a diventare capo del proprio condominio che si trova a presiedere una Provincia o una Regione solo perché è un volto noto. Mediocri giornalisti miracolati da una telecamera che non saprebbero da dove cominciare a dirigere un giornale che si trovano a dirigere regioni importanti, Basta condurre una trasmissioncina di successo (Marrazzo) per ricevere le chiavi di una giunta regionale come quella del Lazio? Basta azzeccare la postura di anchor woman d’assalto (Gruber) per andare in Europa? Oppure bucare lo schermo con gli occhi languidi da uovo al tegamino (Sassoli) per prendere il posto della suddetta Brunilde che di Bruxelles s’è un po’ annoiata? Di questi signori conosciamo solo la testa (nel senso del colore dei capelli, della forma del naso e del sorriso), ma cosa c’è dentro lo ignoriamo, e con sistema elettorale bastardo che quel genio di Calderoni ci ha propinato, c’è poco la scegliere, qualcuno li ha già scelti per noi. Quali proposte, quali idee, quale visione del mondo hanno persone così? Possibile che si debba scambiare il voto con il televoto e la scelta di un candidato con la nomination? Il caso Marrazzo faccia riflettere il nuovo segretario del Pd e anche i vertici regionali calabresi, che le elezioni sono alle porte. La televisione, ha detto qualcuno, è il chewing gum dell’occhio. Non ti obbliga a pensare, a ragionare, a criticare. Ti obbliga solo a masticare, distrattamente. Ecco, io non voglio masticare distrattamente. E soprattutto non voglio essere masticata.
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