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di LUIGI M. LOMBARDI SATRIANI
Su Facebook il gruppo “Uccidiamo Berlusconi” ha raggiunto in pochi giorni oltre 24.000 adesioni, prima che il suo nome venisse modificato in un più cauto “Berlusconi, ora che abbiamo la tua attenzione. rispondi alle nostre domande!” che ha raggiunto sinora oltre 30.000 adesioni. Che il comportamento del Premier, la sua azione eversiva e, di fatto, liberticida suscitino in molti componenti della società civile un’avversione profonda, un desiderio di contrapporsi alla sua figura in forma magari ingenua e velleitaria, si può comprendere. Niente di ciò che accade è ontologicamente impermeabile alla tensione conoscitiva, quasi blocco oscuro dinanzi al quale la ragione debba arrestarsi, dichiarando il proprio fallimento. Comprendere però non significa in alcun modo giustificare. Il sito “Uccidiamo Berlusconi” costituisce di fatto un boomerang rispetto all’orizzonte politico nel quale i promotori del sito stesso e gli aderenti ritengono di situarsi. Anzitutto, facendo di Berlusconi l’oggetto (per quanto virtuale) della loro azione violenta, regalano a lui stesso il ruolo di vittima, costringendo di fatto anche quanti di noi berlusconiani non siamo a differenziarci da loro e a dichiarare al Premier la nostra solidarietà. Il Governo e la maggioranza parlamentare, poi, possono così gridare, come hanno già fatto, al pericolo di un attentato al presidente del Consiglio, di un ritorno del terrorismo nel nostro Paese. Non mi sembra in alcun modo che vi sia un pericolo siffatto e ho l’impressione che né al ministero dell’Interno, né nella compagine governativa si creda sul serio a tale pericolo, ma ne parlano per fare “ammuina”, per assorbire nel fumo di tale allarme l’inadeguatezza del Governo stesso nell’affrontare i problemi reali del Paese. Tra questi prioritario quello concreto per la maggior parte degli italiani di uscire realmente dalla crisi economica devastante, che attanaglia la nostra vita associata, crisi irresponsabilmente sottovalutata quando non negata del tutto da Berlusconi e dal suo Governo. Tale gruppo di Facebook, però, è un inquietante “segno dei tempi”, sul quale riflettere in maniera approfondita. In rete esistono circa 500 siti dedicati all’uccisione di qualcuno. Michele Serra ha recentemente ribadito nella sua rubrica L’Amaca: “sono certo che quasi tutti gli uccisori virtuali non sono assassini di persone, ma assassini di parole. Le usano come i petardi o come le bolle di sapone, per fare rumore o per giocare, e non si curano dell’anima che ogni parola possiede – il suo significato. Uccidere è un verbo biblico, da maneggiare con la cura e il rispetto che si deve alla vita e alla morte, per chi crede il rispetto di Dio, per chi non ci crede il rispetto degli uomini, che forse è ancora più impegnativo perché gli uomini sono molto meno rispettabili di Dio. Non capisco, e neanche ho voglia di capire, perché il giovane boss del sito [.] faccia riferimento a Renato Curcio e a Mussolini. Alla stessa maniera potrebbe metterci i Pooh, Hitler, Enzo Ferrari, Paperino, perché niente significa più niente nel paese in cui buongiorno non vuol dire soltanto buongiorno. Siamo diventati tutti troppo intelligenti, per i miei gusti” (“La Repubblica”, 23 ottobre 2009). La disinvoltura con la quale si utilizza il linguaggio violento mostra quanto la violenza oggi sia legittimata culturalmente. Sappiamo come essa sia stata tragicamente un tratto costante nelle diverse epoche, causa di orrori infiniti che hanno marcato la storia di tali epoche, facendole grondare del sangue di innumerevoli vittime. Ma tale violenza in esse, pur di fatto esperita, era comunque, almeno formalmente, stigmatizzata. Poteva anche essere una condanna ipocrita – e quasi sempre lo era – ma, come si è spesso detto, l’ipocrisia era di fatto l’omaggio che il vizio rendeva alla virtù. Oggi tale argine culturale è crollato e la condanna della violenza può apparire lamentela “moralistica”, quindi inefficace, dato il sanguigno disprezzo che si riserva alla morale, degradata a “moralismo”, all’etica che si lascia alla gestione monoposlitica delle confessioni religiose, in particolare di quella cattolica. Per il resto, la violenza può essere considerata valore – nel senso antropologico di meta culturale – se ritenuta necessaria per perseguire il raggiungimento di altri valori assunti quali parametri assoluti per valutare la validità di una persona: ricchezza, potere, prestigio, valori tutti intercambiabili, possedendo uno dei quali si ha maggiore possibilità di acquisire gli altri, secondo quanto l’analisi sociologica ha da lungo tempo posto in risalto (si pensi per tutti a Wright-Mills). Tale temperie culturale mostra come l’insieme di questi valori, che possiamo identificare in prima approssimazione con il berlusconismo, anche se questo non li comprende esaustivamente, si sia insediato nel tessuto culturale collettivo, sia stato interiorizzato da moltissimi componenti della società civile, abbia vinto in Italia ancor prima che nelle competizioni elettorali vincesse Berlusconi. Questi, di fatto, è il risultato del berlusconismo, non la sua causa, secondo quanto ho più volte sottolineato in questa rubrica. Occorre por mano al più presto – e in maniera radicale e profonda – alla elaborazione e all’instaurazione di una rete di valori alternativi a tutto ciò, invece che “giuocare” a fare i rivoluzionari con simili siti, stupidi e dannosi quale quello dell’“uccidiamo Berlusconi”.

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