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di PARIDE LEPORACE
LA “Nave dei veleni” di Cetraro finisce in prima pagina sul Financial Times ma in Italia il partito della verità ha le sue difficoltà per venire a capo dell’inquietante vicenda.
Attorno al pentito Francesco Fonti si sta scatenando un’offensiva per ridurlo al silenzio e non solo giornalistico.
Ma ieri per le questioni lucane sono giunte buone notizie da Roma. E’ tornata a deporre nella Commissione parlamentare d’inchiesta dei rifiuti l’ex sostituto della Dda, Licia Genovese, che aveva istruito insieme al procuratore Galante il fascicolo contro la Nucleare connection di Rotondella.
Parliamo dell’inchiesta ereditata e poi archiviata dal pm Basentini a Potenza che ha ravvisato l’impossibilità di accertare le responsabilità contro i vertici dell’Enea e degli ‘ndranghetisti sospettati di aver occultato rifiuti nucleari.
Ora la decisione pende davanti al gip di Potenza. L’audizione ha mostrato grande interesse per le circostanziate notizie fornite dalla Genovese. Infatti la Commissione è orientata a chiedere gli atti lucani come spetta ai suoi poteri per impedire che le vicende che riguardano il plutonio e le scorie misteriosamente sparite restino un segreto insormontabile e un misterioso racconto giornalistico. Una volontà importante. Non sappiamo che orientamento assumerà sulla questione il parlamentare leghista Giovanni Fava che nei giorni scorsi è stato protagonista di una vicenda abbastanza inquietante. Domenica scorsa infatti il componente della Commissione d’inchiesta sul ciclo illecito dei rifiuti ha dichiarato alla “Gazzetta di Mantova”, giornale più diffuso del suo territorio: «Il collaboratore di giustizia Francesco Fonti, elemento di spicco delle ‘ndrine calabresi è stato giudicato non affidabile. E’ nella nostra provincia senza un programma di protezione ma la vicenda che racconta è ancora nebulosa e va approfondita».
La rivelazione giornalistica ha atterrito Francesco Fonti. Nella località dove sconta gli arresti domiciliari per gravi motivi di salute è arrivata anche un’inibizione da parte del giudice di sorveglianza che lo invita a non intrattenere nessun rapporto con giornalisti o vicini di casa.
Il suo stato depressivo è aumentato e difficilmente si potrà collaborare con lui. Abbiamo contattato l’onorevole Fava per sapere per quale motivo ha rivelato il luogo di residenza della più celebre gola profonda della ‘ndrangheta calabrese e lui ha risposto che la notizia sarebbe stata desunta dall’interrogazione parlamentare presentata dai parlamentari del Pd Marco Carra, Maria Grazia Laganà e Alessandro Bratti che nei giorni scorsi hanno invocato, nel silenzio mediatico generale, maggiore protezione dello Stato nei confronti dell’ex mafioso calabrese. Ma su questo punto il leghista Fava mente.
Basta controllare infatti il testo dell’interrogazione parlamentare per appurare che non si fa cenno a nessuna località. C’è un ulteriore aspetto sconveniente in questa storia. Il parlamentare Fava risulta essere socio amministratore dell’impresa Econord di Viadana che ha nell’ambiente il suo business. Il diretto interessato ha affermato che la sua azienda non si occupa di smaltimenti di rifiuti. Speriamo sia vero. Abbiamo domandato all’onorevole Fava dall’alto della sua postazione in Commissione che idea si è fatto di Fonti e della vicenda delle navi fantasma e candidamente ha dichiarato: «Non ne so nulla. Mi occupo solo di questioni siciliane».
Risulta strano che siano sparite le certezze cartesiane rilasciate al giornale locale della sua città pochi giorni fa. Qualcosa non quadra. Mantova, come altre città italiane, non è estranea alla torbida storia delle navi a perdere. Infatti proviene dalla città di Virgilio Marino Ganzerla, 69 anni, domiciliato in Svizzera e socio in affari di quell’ingegner Comerio inventore dei siluri da depositare sui fondali marini al riparo da sguardi indiscreti. Ganzerla il 13 luglio 1995 è stato interrogato dal pm Francesco Neri della Dda di Reggio Calabria e nei suoi verbali si legge: «Era un decennio che si parlava di progetti di affondamenti di navi cariche di rifiuti chimici».
La Commissione d’inchiesta parlamentare farebbe bene a non tralasciare la pista mantovana delle navi affondate. C’è molta determinazione nel voler scardinare la coltre di silenzio che si vuol far cadere sui rifiuti seppelliti in fondo al mare e in siti nascosti della terraferma.
Il capogruppo del Pd, Alessandro Bratti, proclama «massima trasparenza» e annuncia che chiederà il sequestro della nave affondata a Cetraro e del suo contenuto per ottenere risposte certe. Inoltre è determinato a non far finire in un polveroso archivio la monumentale inchiesta lucana sulla Nucleare connection che dalla Basilicata si è dispiegata a raggiungere l’Irak e la Somalia. Bratti in queste ore non ha esitato a denunciare: «Già nel 2006 il precedente governo Berlusconi era a conoscenza che a Cetraro era stata affondata una nave: la notizia risulta agli atti dell’allora Commissione Bicamerale sui Rifiuti presieduta da Paolo Russo».
E appare inquietante che un’ordinanza della Capitaneria di Porto del 2007 vietava la pesca nella zona di Cetraro perchè le analisi chimiche delle acque avevano evidenziato concentrazioni molto alte nei sedimenti marini relativamente all’arsenico, al cobalto alluminio e cromo.
Intanto per le ricerche a Maratea non c’è certezza che si vada a scandagliare quel tratto di mare. Al Nord in uno sperduto paese del mantovano Francesco Fonti vive da solo con un gatto. Abbandonato da uno Stato che non mostra nessun interesse a verificare le sconcertanti notizie che ha rivelato ai giornali di mezzo mondo.
p.leporace@luedi.it
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