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di PARIDE LEPORACE Questa è la storia dell’ennesimo muro di gomma italiano. Un relitto in fondo al mare, un centro nucleare in Basilicata dove è accaduto di tutto, giornalisti uccisi, agenti segreti e criminalità inquietano il pensiero di popolazioni che si chiedono dove è giusto portare i figli al mare senza dover maledire fino alla fine dei propri giorni una vacanza funesta. Ma le autorità si dimostrano insensibili. Insensibili alle petizioni, alle manifestazioni, alle mobilitazioni. Eppure pochi atti basterebbero per imboccare la strada della verità e degli accertamenti. A partire dalla necessaria audizione del soldato di ’ndrangheta: magistrati seri in pochi giorni potrebbero accertare se ha detto la verità, tutta la verità, su quel relitto che ha indicato come affondato al largo di Cetraro. Invece si perde tempo. Anzi come Penelope la tela tessuta di giorno viene disfatta di notte.
Ma andiamo ai fatti. Francesco Fonti doveva essere sentito la scorsa settimana a Roma dai magistrati calabresi titolari delle sue indagini. Il suo avvocato difensore era impegnato in un processo e quindi l’interrogatorio non si è svolto. Ma non finisce qui. L’avvocato Maria Conidi, che difende Fonti, ha appreso ieri mattina dai magistrati che il suo assistito si sarebbe avvalso della facoltà di non rispondere alle domande della Dda di Catanzaro. Adoperiamo il condizionale perché questa circostanza secondo la penalista catanzarese non si è mai verificata. Fonti vuole deporre e avrebbe deciso di non rispondere perché senza avvocato evitando di far considerare tecnicamente l’interrogatorio nullo. Tra l’altro nessuno dei magistrati che hanno in mano la scottante indagine ha pensato di nominare un avvocato d’ufficio per aprire l’interrogatorio. L’avvocato Conidi da noi sentita ci ha annunciato di aver inviato una fax alla procura di Salerno per disporre accertamenti su quello che sta accadendo a Catanzaro chiedendo che il suo assistito, cioè Francesco Fonti, venga sentito in Campania. Una memoria di Fonti su quello che sta accadendo è stata acclusa alla denuncia dell’avvocato. Il ritorno di questo vento di maestrale tra Catanzaro e Salerno non rende tranquilli nel ricordare quello che accadde sull’inchiesta aperta da Luigi De Magistris. Sempre ieri mattina il procuratore della Repubblica di Catanzaro, Vincenzo Lombardo, ha affermato ad un’agenzia di stampa: «Non abbiamo certezza sul fatto che quella scoperta a Cetraro sia davvero la nave Cunsky, come riferito dal pentito Francesco Fonti». Ha saggiamente replicato l’assessore all’ambiente calabrese Greco: «Non c’interessa il nome ma il contenuto di quella nave». Quel contenuto che comincerebbe a dipanare le troppe nebbie di questa storie. Pochi mettono in evidenza che Francesco Fonti è gravemente ammalato. Un suo aggravarsi potrebbe far sparire definitivamente uno dei pochi testimoni diretti del triste affare. Chi ha avuto la possibilità di parlare con lui ci riferisce di un uomo deluso che è solito ripetere «non vogliono usare la logica. Vadano in fondo a quel mare. Basta recuperare un solo bidone per accertare la verità».
Questa storia delle navi inabissate e dei rifiuti nucleari sotterrati non è nuova. E’ riemersa per l’intraprendenza di Bruno Giordano, che arrivato alla procura di Paola va a recuperare un vecchio fascicolo che parla di una nave affondata con veleni. Fa il suo dovere Bruno Giordano in una Procura di paese senza uomini e mezzi. Nei corridoi del tribunale si è sempre detto «Le cose si sanno ma non si vogliono accertare». Giordano aveva chiesto aiuto alla Marina militare italiana ma hanno risposto: «Non abbiamo mezzi». Possibile? Lo stesso muro di gomma alzato da presunte inefficienze anche da ministeri romani. I carabinieri del Noe calabresi anche molto tiepidi nonostante il focolaio radioattivo su terra dalle parti di Aiello. Ma la variabile impazzita ha trovato un assessore regionale all’ambiente esperto di mare e una società privata che con fondi pubblici ha trovato il relitto al largo di Cetraro. Quel giorno carabinieri e guardia costiera erano in grande tensione per quelle ricerche. Un stato di allerta generale senza muovere un dito per partecipare allo scandaglio delle acque. Come dal vaso di Pandora sono riusciti quindi i nomi di Fonti, Comerio, De Grazia. A quel punto la procura di Paola non era più nella possibilità tecnica di gestire l’indagine che è andata a Catanzaro, procura di nebbie e contenziosi tra magistrati.
Anche l’ex procuratore della Repubblica di Potenza, Galante, poi azzoppato da “toghe lucane”, ha detto che sull’inchiesta madre aperta in Basilicata c’era stato un muro di gomma. Difficoltà, problemi, nessun aiuto. Un procuratore a Matera aveva visto giusto e con gli uomini del Corpo Forestale (meno male che c’è la Forestale, sembra che insieme ai vigili urbani di paese siano gli unici corpi che meglio si dedicano a questa storia) aveva trovato bolle non a posto all’Enea di Rotondella e altre ipotesi di reato. Quel fascicolo attualmente è da un gip. Procuratore della repubblica e il pm della locale Dda vigilano su quello che hanno acquisito. Sembra che vorrebbero occuparsene. Sono coordinati con i colleghi di mezz’Italia ma le indagini sono complesse. Non ci sono mezzi adatti. Fonti con il pm Basentini ha avuto rapporti molto burrascosi. Vista la situazione è difficile riprendere una collaborazione. Ieri in Procura si è recato per parlare con i magistrati potentini l’assessore regionale all’ambiente, Santochirico, che ha preso di petto la situazione. La Regione Basilicata come la Calabria sta valutando se riesce a disporre proprie ricerche in mare e terra. Per poterle attuare c’è bisogno di collaborazione con magistrati e autorità nazionali. Ma Roma tace. Roma non sente e non vede. Come ai tempi di Ustica. Aspettando che un’imprevedibile mossa si manifesti ancora una volta. Per conoscere la verità.
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