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di MARIO CASALINUOVO
“Sono il più grande presidente del Consiglio di tutti i tempi (più di De Gasperi?)”. È lui ad averlo detto. A me pare, invece, che Berlusconi ha proprio dimenticato di essere il presidente del Consiglio ed ha proprio perduto la testa insultando tutti, ed ora anche e particolarmente la stampa estera, rea soltanto di aver riferito delle sue proteste, dei suoi insulti e delle sue minacce. Ha toccato perfino il Presidente della Repubblica e la Corte Costituzionale. Ora, ha affermato che, con la prossima riforma della giustizia, saranno separate le carriere dei giudici e dei pubblici ministeri. Come lui intende la separazione delle carriere, è la minaccia più grave tra quelle pronunziate negli ultimi tempi. La bocciatura del lodo Alfano lo ha reso insonne perché, dopo tante leggine ad personam che più o meno lo hanno salvato, ecco profilarsi nuovi gravi processi a suo carico. La bocciatura del lodo Alfano: ma come si poteva sperare diversamente? Come poteva immaginarsi che passasse quasi inosservata una palese violazione della Carta costituzionale che può essere compresa perfino da un bambino. Ma c’era un precedente, si è detto, del quale non si è tenuto conto. Non è così perché gli aspetti concreti del cosiddetto precedente erano diversi, come si è dimostrato tante volte nel lungo dibattito che ha preceduto e seguito la sentenza del massimo organo di garanzia dello Stato. Comunque, ora, il caso era quello esaminato e la decisione appariva, e doveva proprio apparire, del tutto scontata. Ma non è la separazione delle carriere che può impressionare. In fondo, sono tanti in Italia a sostenerla e certamente c’è la maggioranza dei giuristi e ci sono le Camere penali italiane da sempre favorevoli al principio, che può discendere non soltanto da tante considerazioni di ordine pratico, ma dagli stessi principi dettati dalla Carta costituzionale. È, invece, la minaccia che accompagna il principio: i pubblici ministeri saranno sottoposti al governo e saranno al di fuori dagli attuali organismi della magistratura. Una palese minaccia, così, all’autonomia e all’indipendenza della magistratura, che, invece, non dovranno mai toccarsi, anche separandosi le carriere. giudici e pubblici ministeri dovranno mantenere sempre la loro autonomia e la loro indipendenza, anche se, una volta disposta la separazione, si renderanno necessari due organismi che dovranno rappresentarli a livello nazionale, al posto dell’unico Consiglio Superiore della Magistratura che oggi rappresenta tutti e, quindi, sia i giudici e sia i pubblici ministeri. Si sappia, è bene ricordarlo, che la minaccia di Berlusconi rappresenterebbe in concreto il pieno ritorno al ruolo della magistratura come voluto dal fascismo e l’offuscamento di uno dei principi più importanti voluto dai costituenti italiani che all’articolo 104 della Carta fondamentale della Repubblica fissarono con estrema chiarezza il principio secondo il quale “la Magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere”. Possiamo poi dire che era tempo che si riprendesse il discorso della riforma della giustizia, e specialmente della normativa penale (se ne parla da quando la democrazia tornò nel nostro Paese) ed ancor di più di quella processuale che regola i rapporti tra lo Stato e i cittadini. L’ultima riforma del codice di procedura penale porta la data del 21 ottobre 1989, giorno in cui entrò in vigore. Avrebbe dovuto superare definitivamente le vecchie norme fasciste, più volte prima disordinatamente ritoccate e, tra l’altro, snellire i procedimenti al fine di evitare pesanti lungaggini. Un’altra lunga battaglia portò all’inserimento nell’articolo 111 della Costituzione del nuovo principio: “La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalle leggi. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”. E poi? Poi il cammino delle riforme si fermò. Ed arrivarono, invece, mano a mano, le leggi ad personam volta ad evitare ogni pericolo al presidente Berlusconi, il quale ha tenuto a ricordare nelle sue ultime impennate il numero dei procedimenti ai quali è stato sottoposto. Ma davvero la colpa è sempre degli altri, come sostiene? Le lungaggini processuali, quasi sempre, naturalmente, da lui stesso provocate non hanno consentito che si arrivasse a ragionevoli e tempestive conclusioni. Ed ogni volta, perché questo avvenisse, sono state “inventate” leggi e leggine anche con la complicità, purtroppo debbo dirlo, di alcuni avvocati che hanno ritenuto di poter fare nello stesso tempo i legislatori e i difensori. Ora, la nuova minaccia: i pubblici ministeri debbono perdere la loro autonomia e la loro indipendenza e dovranno dipendere dal governo! Ci vorrà molta attenzione da parte di tutti, magistrati, avvocati, politici e cittadini per evitare che si svicoli davvero lungo pendenze quanto mai pericolose. Lo sappiano gli italiani che troppo facilmente si lasciano ingannare dalle parole e dai sorrisi di chi non meriterebbe di rappresentarli.
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