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E’ NEL capoluogo la “Reliquia di San Francesco”, un panno di lino del saio del poverello di Assisi, impregnato del suo sangue. La preziosa reliquia – custodita nel santuario di La Verna, il luogo in cui il corpo del santo fu segnato delle stesse piaghe del Crocifisso (nelle sue mani e nei suoi piedi si formarono come delle escrescenze a forma di chiodi) – è arrivata nella serata di ieri ed è stata custodita all’interno del Monastero di Santa Chiara a contrada Botte. Le Clarisse, per l’occasione, hanno celebrato una veglia di preghiera.
Oggi alle 18 la Reliquia verrà trasferita in forma privata alla chiesa di “Gesù maestro” del Principe di Piemonte. Di lì, dopo una celebrazione eucaristica, verrà trasferita in processione fino alla chiesa di San Maria del Sepolcro, dove alle 19.30 è prevista una concelebrazione eucaristica presieduta dal vescovo Agostino Superbo.
Tutta la settimana, poi, la chiesa di Santa Maria del Sepolcro la dedicherà alla celebrazione dell’evento religioso, con mostre, veglie di preghiera, momenti di preghiera dedicati ad anziani e ammalati, convegni e dibattiti. Il saio di San Francesco verrà poi esposto e custodito anche nella chiesa di San Michele, da cui verrà trasferito nuovamente domenica 11 ottobre, quando la statua e la Reliquia di San Francesco verranno portate in processione fino alla chiesa di Santa Maria, dove sarà celebrata una messa presieduta dal vescovo di Tursi-Lagonegro Francescantonio Nolè.
Un momento di profonda devozione religiosa, che arriva in un momento particolare, ovvero il pellegrinaggio religioso ad Assisi in occasione dell’offerta dell’olio per alimentare la lampada sulla tomba di San Francesco.
I decreti del Concilio di Trento 984 e 985, che fissano le linee di fondo della dottrina cattolica sulle reliquie, rappresentano il punto di arrivo di un processo, che affonda le sue radici nella pietas dei primi cristiani verso il corpo dei martiri. Essa riflette, almeno alle origini, non tanto il culto riservato dal mondo grecoromano agli eroi-culto che, al tempo in cui apparve il cristianesimo, mal si distingueva da quello riservato agli dèi, quanto piuttosto gli usi funerari normali.
Essi consideravano la sepoltura, la cura del corpo del defunto, le feste commemorative della morte, come doveri sacri; leggi rigorose proteggevano il luogo della sepoltura come luogo sacro, ne vietavano la profanazione e impedivano lo spostamento del corpo. L’importanza che il martirio assunse nella teologia, nell’apologetica, nella vita dei cristiani dei primi tre secoli sviluppò un vero culto dei martiri e delle loro reliquie, di cui il documento più antico è il Martyrtum Policarpi.

Nel culto delle reliquie, soprattutto per quanto riguarda gli sviluppi successivi al III sec. confluisce – accanto alla pietas funeraria amplificata dalle dottrine relative al martirio e alla santità – anche l’idea che la potenza salvifica degli uomini di Dio sia un qualche cosa di fisico, che rimane inerente al corpo, vivo o morto, del santo, e che, da questo, possa trasmettersi agli oggetti che, in forme più o meno dirette, ne sono venuti in contatto.

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