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dall’inviato FABIO AMENDOLARA
LAGONEGRO – C’è chi ritiene che ci sia stata qualche «frizione» tra il sostituto procuratore Henry John Woodcock e il pubblico ministero che a Roma ha chiesto l’archiviazione per l’associazione a delinquere con il sottosegretario di Stato Gianni Letta. Sembra, inoltre, che il magistrato romano abbia mandato, per conoscenza, la sua richiesta di archiviazione anche alle altre procure competenti: Matera e Bari.
«A Lagonegro non è arrivato nulla», dicono nel palazzo di giustizia. Sarà. E forse è perché la diatriba sulla competenza territoriale è stata risolta da poco. «E’ stato il procuratore generale della Corte di cassazione – spiegano a Lagonegro – e non la Suprema corte, come sostenuto dalla stampa nazionale qualche giorno fa, a decidere a chi affidare i faldoni raccolti dalla procura di Potenza».
«Questa – dice la fonte del Quotidiano, mentre indica l’atto – è la motivazione». Nell’ordinanza viene dichiarato che non c’è stato nessun contrasto tra il pm di Potenza e quello di Roma.
E che «essendo stata individuata la competenza di un organo terzo, l’eventuale contrasto non esiste». Atti a Lagonegro. E’ stato questo l’iter. L’unico magistrato che lavora in procura è Francesco Greco, in passato a Paola, a occuparsi di ‘ndrangheta. Ora, a Lagonegro, a occuparsi di tutto. Dalle udienze, alle convalide, ai sequestri. Reati contro la pubblica amministrazione, contro il patrimonio, contro la persona. Delitti, contravvenzioni. «E’ solo e fa tutto lui», dice un avvocato. Qualcuno sostiene che il «fascicolone sul sottosegretario» se lo sia portato a casa, per poterlo studiare per bene. E’ un procedimento delicato. E non solo perché tra gli indagati c’è il sottosegretario.
L’ipotesi è che con la «trattativa privata» sarebbero stati aggirati i controlli sui requisiti per la gestione dei centri che accolgono i rifugiati politici a Policoro e a Bari. E’ quello che sospettano i carabinieri del Nucleo operativo ecologico di Roma e gli investigatori della Squadra mobile di Potenza. Hanno cominciato a indagare con una delega del sostituto procuratore Henry John Woodcock che, da un paio di settimane, ha preso servizio a Napoli.
Poi sono emersi nomi di personaggi di primo piano della politica nazionale. E per questo il pm anglonapoletano ha mandato, su suggerimento del suo capo, il procuratore Giovanni Colangelo, un troncone dell’inchiesta a Roma. «Competenza territoriale». Perché, oltre al politico, ci sono i funzionari. «Indagati».
Prefetti e responsabili del Viminale. Nel «decreto di esibizione di atti» con cui i carabinieri si presentarono negli uffici del ministero dell’Interno compaiono i nomi della cooperativa “La Cascina” e di una società controllata che ha la sede principale a Senise: “Auxilium”.
Il presidente è Pietro Chiorazzo, quarantenne single che viaggia in Audi e ha amici nel centrosinistra lucano.
Suo fratello Angelo, 35 anni, invece, è il vicepresidente della cooperativa “La Cascina”.
A Senise ricordano «che qualche anno fa organizzò un grande convegno con Andreotti». E si vocifera che il divo Giulio sia proprio il suo testimone di nozze.
Da sempre sulle posizioni di Comunione e liberazione, è da poco transitato nel Pdl. «Da quando ha lasciato Clemente Mastella», dicono. «Di Clemente era così intimo da aver organizzato più di un incontro con il cardinale Tarcisio Bertone».
Un’attività che nel vecchio Udeur gli era costata il soprannome di «vaticanista». Ma è anche uno che da del tu a Gianni Letta. L’inchiesta sulle cooperative è partita con un esposto sulla gestione della mensa all’Ospedale San Carlo di Potenza. Da lì la squadra investigativa del pm Woodcock ha spostato la sua attenzione sugli appalti ottenuti dalla cooperativa “La Cascina” e scoperto che “Auxilium” ha ottenuto la gestione del centro di Policoro «prima di aver presentato la certificazione necessaria a dimostrare di avere i titoli richiesti».
Nelle due cooperative c’è silenzio. Il lavoro continua. Per loro «i documenti sono in regola».
E’ una questione tecnica. C’è un’ordinanza del governo che dà ai funzionari del Viminale il potere di affidare con una trattativa privata la gestione dei centri di accoglienza.
«E’ una questione di tempi», spiegano. Niente aste o gare pubbliche. Ci sono però delle regole per accertare i requisiti. «E’ questo iter che – secondo l’ipotesi di Woodcock – non sarebbe stato rispettato».
A confermare che qualcosa non quadra ci sono almeno un paio di prefetti. Tra cui quello di Matera, Giovanni Francesco Monteleone.
Il prefetto, al pm Woodcock e al capo della Squadra mobile di Potenza Barbara Strappato, dice di «essere rimasto molto sorpreso» dalle indicazioni che sarebbero arrivate a Matera, competente per il centro di accoglienza di Policoro, dal capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del ministero Mario Morcone. «Indagato».
Il prefetto Monteleone ha detto agli investigatori di essersi sentito «bypassato» nella gestione di una vicenda di competenza della prefettura di Matera.
Si lamenta: «In qualità di prefetto avrei dovuto… diciamo… non ho avuto la possibilità di chiare i sindaci, far vedere insomma che esiste un prefetto che si interessa».
La fa passare come una sorta di imposizione che arriva dall’alto. Racconta il prefetto: «Mi diceva che di lì a poco sarebbe arrivata una convenzione tipo, che il ministero tiene, e per cui doveva essere firmata».
E come era facile prevedere sono cominciati i problemi. Dice il prefetto: «Il sindaco di Policoro, per esempio, è stato attaccato politicamente dalle forze di opposizione, perché è stato accusato di aver preparato lui il soggiorno degli extracomunitari. Per questo voleva denunciare un esponente dell’opposizione, perché lui non sapeva niente». Ed è vero.
Spiega il prefetto: «E’ stato avverito da me subito dopo».
f.amendolara@luedi.it

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