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di LEO AMATO
POTENZA – «Io vorrei potervi esporre, da quando sono uscito a oggi, quali sono stati, e perché sono stati tutti i miei collegamenti. E’ una fase preparatoria al vostro successivo interrogatorio».
Renato Martorano è in carcere, era in carcere, e ci sarebbe ritornato più tardi con le accuse di usura ed estorsione aggravata dal metodo mafioso. Per il Ros dei carabinieri è il massimo esponente della ’ndrangheta in Basilicata. Non ha mai risposto alle domande dei giudici. Non ha mai rilasciato dichiarazioni. Alle nove di mattina del 13 aprile del 2005 nella casa circondariale di Livorno sono arrivati i pm dell’inchiesta “Iena due” sui rapporti tra la mala, la politica e la pubblica amministrazione in Basilicata. Li ha chiamati lui.
Si è fatto un promemoria con i punti principali del suo discorso. Chiede che gli diano il permesso di fare un paio di telefonate al padre malato. Parla per tre ore, si difende, sfida i magistrati, nasconde i nomi dei finanziatori dei suoi presunti giri di usura, riempie cento pagine di verbale, e dopo quattro righe tira in mezzo anche la politica.
A distanza di quattro anni buona parte di quegli atti sono diventati pubblici. Il Quotidiano ne è riuscito a entrare in possesso.
«Nell’agosto del 1999 sono uscito dal carcere di Avellino, esattamente il 12 agosto. Una delle prime persone che incontrai fu Garramone, un amico di vecchia data. non sapevo che fosse assessore, perché io avevo fatto circa dieci anni di detenzione continuata, e non conoscevo l’evolversi della sua carriera politica. Mi incontrai con Garramone e parlando, “Che fai? Sei uscito?”, le solite banalità, mi disse che era al comune come consigliere. Gli dissi: “Perché non mi dai una mano, una possibilità di inserirmi lavorativamente?”».
Nino Garramone è un imprenditore, e un politico nato in Forza Italia, poi passato al Movimento per l’autonomia. Non ha fatto mai l’assessore, ma è stato eletto per due volte in consiglio comunale. E’ finito in carcere nel novembre del 2004 per i suoi rapporti con Martorano, e a gennaio di quest’anno è stato rinviato a giudizio assieme ad altre dieci persone per associazione a delinquere di stampo mafioso, truffa, e corruzione. Lui si è sempre dichiarato innocente, ma tra due settimane comincerà il processo davanti ai giudici del collegio del Tribunale di Potenza.
«Mi disse: “Che vuoi fare?” – Martorano prosegue nel suo racconto – E io gli ho detto: “Qualsiasi cosa.” Lui: “Sai, ci sono alcune assunzioni come netturbini, perché non ti iscrivi all’Ufficio di collocamento”. E io mi iscrissi, dopo di che cercai di sollecitarlo, ma non se ne face niente». E per questo motivo Martorano sarebbe stato costretto a tornare a lavorare nella agenzia di assicurazioni della moglie, per poi allacciare una serie di rapporti anche nel settore delle forniture per l’edilizia. «Come ripiego». «Facevo i Tfr, trattamenti di fine rapporto, che sarebbe la liquidazione. fai un versamento mensile e alla fine i dipendenti vengono liquidati dalla compagnia. Dissi a Garramone: “Voi avete un sacco di dipendenti”. E lui mi spiegò che erano dipendenti che si assumono di volta in volta che uno vince la gara. e non poteva farlo. Gli dissi: “Perché non fai polizze di investimento, fideiussioni”. Ovunque la pagavano 150, e da me soltanto cento. ma le provvigioni erano irrisorie. non mi dava sostentamento». Quindi Martorano avrebbe chiesto a Garramone di aiutarlo a trovare qualche cliente. «Io gli dissi: “Perché non mi presenti qualcuno, mi fai fare qualche polizza”». E così conobbe i fratelli Esposito, titolari della ditta Pelman, che si stava aggiudicando l’appalto per le pulizie all’ospedale San Carlo di Potenza, proprio sui rivali della ditta di Garramone, e Alemagna, altro imprenditore, e anche Nuzzo Cesario della Smi di Bari, tutti interessati ad alcuni appalti in regione. E finirono attovagliati in un ristorante del capoluogo, per parlare di polizze, dove “casualmente” intervenirono anche due noti pregiudicati calabresi, Francesco Mazzeo di Reggio Calabria, e Savino Pesce di Rosario. Questo è quanto dice Martorano. Ma i due magistrati sono convinti che quella volta agli imprenditori che volevano affacciarsi in Basilicata venne chiesta una percentuale di circa il trenta per cento del valore degli appalti, da versare nelle casse della “lobby affaristico-mafiosa” capeggiata da Renato Martorano. Poi ci sono i rapporti con Gianfranco Blasi, a quei tempi deputato di Forza Italia, esponente a tutt’oggi del partito della Rosa bianca. Blasi è uscito dall’inchiesta per effetto dei benefici della cosiddetta legge Pecorella. «Ci conoscevamo da bambini, proprio dall’età di otto anni, dieci. Giocavamo insieme, siamo cresciuti insieme. Quindi io mi permettevo di chiamarlo Gianfranco, perché ci siamo sempre chiamati per nome da ragazzini ed è rimasta questa confidenza. Anche a lui chiesi una possibilità, ho detto: “Vedi se mi puoi dare una mano. E lui disse: “Si, si, ora vediamo. Ma che fai?”. “Io tratto assicurazioni, tratto nel settore edile, quindi. insomma. a me qualsiasi cosa, basta che mi dai una mano, voglio inserirmi”.».
Il pm Henry John Woodcock gli contesta d’aver chiesto dei “favori” per gli imprenditori del suo giro, come Carmine Guarino, Vito Mariani di Muro Lucano, o i fratelli Esposito.
«Non si rivolgevano a Martorano – spiega il boss – perché Martorano aveva un tale carisma da poter intervenire su Blasi. Si rivolgeva a Martorano perché in confidenza aveva avuto questo dialogo, e Martorano aveva detto di essere un amico di infanzia di Blasi. Solo per questo. Non fu un intervento mirato. Per quanto riguarda i miei interventi, i miei rapporti con Mariani, è vero, Mariani mi ha fatto questa telefonata, perché aveva fatto una lite, là, e si è rivolto a me. Ma questo qui è un idiota, io che posso fare? Se questo tiene lite in un area di servizio e dice “Io conosco a Renato Martorano”. Mariani faceva rimozione dell’amianto e fino a qua non mi interessava, perché era opera sua. Io cercavo di vendere le onduline, che si sostituiscono all’amianto. Quindi avevo questa trattativa di onduline, che poi manco questa è andata in porto. Io veramente sono come un cane della chiana, dico, della macelleria, sporco di sangue e morto di fame».
«Beh, poi parleremo anche del morto di fame», sbotta il pm Vincenzo Montemurro, che a quei tempi lavorava per la direzione distrettuale antimafia, «la vicenda di Mariani si snoda su due aspetti: che poi lei e Mariani vi ritrovate da Blasi ; e che se Mariani ha bisogno di risolvere un problema suo personale.».
«Eh, sì, della moglie», lo anticipa Martorano che conosce a memoria il fascicolo sul suo conto. «Ma figuratevi. dottore. se chiediamo a mezza Potenza, allora mezza Potenza è stata frastornata di richieste di altre persone: di me, di tante altre».
«Si, vabbe’ – aggiunge il pm – ma quello viene da lei e dice: “trovami un ragazzo che mi deve fare un’azione punitiva”. “Ma che ci andavo a trovare il ragazzo per fare l’azione punitiva?». «Al telefono parlate di questo. “Il ragazzo – lei gli dice – io te lo trovo”».
«Ma non esiste proprio. Se ho detto questo fatemi fare trent’anni di carcere che sono diventato scemo. Io ho detto: “Poi ne parliamo”. Quando poi è venuto e abbiamo parlato, gli ho potuto dire solo: “Tu sei scemo, tu sei uno stupido, ma che vai cercando?».
E il pm conclude: «In questa indagine chiunque ha un problema si rivolge a lei».
(2. continua)
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