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SERRA SAN BRUNO – «A Serra San Bruno, il comune del vibonese dove sono nato 49 anni fa e che sono stato costretto a lasciare per aver dichiarato guerra alla ‘ndrangheta, non mi vogliono nemmeno come visitatore, ad incominciare dalle istituzioni per finire ai miei stessi familiari. Perciò sto raccogliendo le poche cose rimaste: il mio studio, lo studio odontoiatrico di mia moglie per dire definitivamente addio alla mia gente. Una partenza dolorosa quest’ultima più della prima se vogliamo, perchè ho deciso di trasferire anche la residenza anagrafica che ancora conservavo». A dirlo con le lacrime agli occhi Pino Masciari, ex imprenditore edile calabrese, adesso importante testimone di giustizia, la cui tormentata vicenda ha avuto inizio 13 anni fa, quando, all’apice della sua attività di imprenditore edile in Calabria, denunciò un comitato d’affari legato ai clan che pretendeva la tangente su ogni lavoro. Dopo aver denunciato tutto ai Carabinieri, racconta di essere stato «deportato» in una località segreta assieme alla moglie e a suoi due figli, per ritornare in Calabria scortato ogni qualvolta si tenevano udienze dei processi contro coloro che aveva denunciato e contro i quali si era costituito parte civile. Dal suo rifugio continuò comunque la sua battaglia conquistandosi la simpatia e la stima di molte città italiane che gli hanno attribuito la cittadinanza onoraria. «Soltanto il mio paese che è circondato da comuni sciolti per mafia – ha detto – non ha fatto niente per me, anzi, come ho potuto notare, non mi vuole. Per questo me ne vado, tagliando definitivamente i ponti, ringraziando la gente comune, gli uomini della scorta che il colonnello Giovanni Roccia mi ha messo a disposizione. Me ne andrò anche dalla località cosiddetta segreta che ultimamente è stata violata da due individui che sono entrati nella mia camera da letto, senza contare che qualche mese addietro sul davanzale della casa paterna di Serra San Bruno, ignoti hanno collocato un ordigno».

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