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di FABIO AMENDOLARA
POTENZA – L’ambulatorio di nefrologia e dialisi è al nono piano, padiglione “A”. La pesante porta antipanico viene aperta alle 12.30. Fa caldo. Lo stesso caldo degli altri reparti. Le scarpe di un infermiere stridono sul pavimento ricoperto di gomma color arancio, coprendo le parole di due persone ferme all’ingresso. Il reparto è silenzioso, il personale è gentile e c’è profumo di pulito. Eppure, fino a qualche mese fa, c’è stata una continua emigrazione di pazienti verso un centro privato convenzionato con l’Asl. Un’inchiesta interna, disposta dalla direzione generale, sembra aver fermato l’emorragia. C’era qualcuno, risulta al Quotidiano, che tramava contro il San Carlo, passando informazioni riservate ai gestori del centro privato. Informazioni sui pazienti e sul loro stato di salute. «Segreti d’ufficio», secondo il sostituto procuratore Henry John Woodcock che, appena ha appreso questa notizia, ha avviato una nuova indagine.
Qualche giorno prima aveva disposto nuove intercettazioni sui telefoni di Enzo Basentini, magnate delle forniture ospedaliere e gestore di un centro privato per la dialisi. Gli investigatori della quarta sezione della Squadra mobile trascrivono le chiacchierate dell’imprenditore e scoprono che in ospedale c’è un dipendente che «ha problemi di soldi per debiti di gioco». E che per arrotondare suggerisce a Basentini e al suo socio Michele Santangelo come agire per far sì che i dializzati scelgano il centro privato. La talpa, secondo gli investigatori, è Alfredo Manco, infermiere professionale. Lavora ancora lì. Così parla a telefono di un paziente: «E’ anziano, però sta bene… non ci sono problemi… è già fistolizzato». L’inchiesta parte così. E anche la dialisi. «Perché – spiega una dottoressa del reparto – per effettuare l’emodialisi è necessario eseguire un semplice intervento chirurgico nel braccio, che consiste nel collegare un’arteria a una vena, in modo che la parete della vena si irrobustisca e permetta il posizionamento di due aghi a ogni seduta dialitica». Questo collegamento tra arteria e vena si chiama «fistola». «L’intervento – continua il medico – avviene in anestesia locale e viene eseguito almeno un mese prima che cominci la terapia». Un’operazione che non è possibile eseguire in un centro privato, perché «avviene in regime di ricovero». I pazienti, quindi, in un primo momento non possono scegliere tra sanità pubblica e privata. Per la fistolizzazione c’è bisogno di un ospedale. «Qui – spiega ancora la dottoressa – seguiamo tutto l’iter»: dalla diagnosi alla fistolizzazione, alla scelta della terapia, ai trattamenti di emodialisi. L’equipe è composta da otto medici, guidati da una vecchia conoscenza del pm Woodcock: il primario Mario Procida. I posti letto per i ricoveri sono 16, ma la struttura può sopportare fino a 116 pazienti cronici e otto pazienti acuti.
Cosa ha spinto, quindi, alcuni pazienti a preferire il centro privato? «Non ho idea», dice un medico mentre scuote la testa. Il sospetto è che, oltre al traffico di notizie riservate, l’infermiere «si presti a esercitare, sempre per conto del centro di Basentini e Santangelo – sostengono gli investigatori – anche una sorta di opera di convincimento nei confronti dei pazienti e dei loro familiari sulle ragioni che dovrebbero indurli a preferire la struttura sanitaria privata».
Ma in quanti sono andati via? «Per queste cose tecniche bisogna rivolgersi al primo piano». Padiglione “I1”. Sembra di essere in un altro ospedale. La porta è già aperta. A terra c’è una larga linea gialla e qualche macchia di sporco. In fondo al corridoio ci sono le macchine per la dialisi. Un’anziana attende annoiata. Non c’è fila. L’ufficio del dottor Gerardo Marinaro è sulla sinistra. Lui i numeri li conosce. Lo conferma. Ma con i cronisti non è disponibile. La pubblica amministrazione è ancora piena di protocolli, funzioni, mansioni, competenze. Insomma: l’ufficio a cui bisogna bussare è un altro. Direzione generale, padiglione “M4”, secondo piano. Un impiegato presidia l’elegante porta di vetro con la serigrafia del logo del San Carlo. E’ a telefono, fa segno di attendere. Poi scarabocchia su un foglio. «Chi cercate?». Il direttore generale, l’ingegnere Giovanni De Costanzo. «Vediamo subito», dice, ma dall’espressione s’intuisce già che l’esito è negativo. Una ragazza si affaccia e spiega: «Il direttore non c’è, provate più tardi». Inutile. Una telefonata del responsabile dell’ufficio stampa Ugo Maria Tassinari, nel pomeriggio, annuncia: «Se ne parla domani».
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