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di ANTONIO CORRADO
Sta bene ed è già nuovamente in viaggio per vacanza, Eleonora Marra, la 29enne di origini ferrandinesi, sequestrata per alcune ore a Saly, località turistica del Senegal, dove si era recata prima di Ferragosto.
La vicenda, balzata agli onori della cronaca nazionale, ha un importante risvolto lucano, perchè proprio da Ferrandina, attraverso l’opera infaticabile ed esperta del maresciallo dei carabinieri Vincenzo Zaltini, è partita l’azione diplomatica che ha portato alla liberazione della ragazza, che nella vita si occupa di relazioni esterne presso la sede pechinese di una multinazionale. Quindi, una ragazza abituata a viaggiare ed a districarsi nei Paesi esteri, a cui una brutta avventura del genere non era mai capitata.
Ieri mattina Eleonora ha incontrato il suo “angelo custode” in una località che non ha voluto rivelarci per una sorta di riservatezza mista a profonda stima nei confronti del sottufficiale dell’Arma, che non si stanca di ringraziare.
Il Quotidiano l’ha raggiunta telefonicamente, per farsi raccontare cosa è veramente accaduto in Senegal. Ancora oggi Eleonora non ha parole di disprezzo per il suo “sequestratore”, un uomo originario della Guinea, residente peraltro a Milano. E’ stata una reazione scomposta, dovuta allo stato di povertà in cui si trovano certi popoli. Un gesto da comprendere, ma non giustificare.
Come è entrata in contatto con l’uomo divenuto poi il suo sequestratore?
«Mi sono mossa come tutti i turisti che si recano in queste località povere ma interessanti del Senegal, tramite conoscenze ho individuato questa persona non residente che affitta le camere, concordando il canone di fitto per il mio soggiorno fino al 20 agosto».
Allora da cosa è staturito il suo gesto, quando e perchè ha perso la testa?
«E’ accaduto tutto quando gli ho preannunciato che sarei andata via prima per la necessità di tornare in Italia. Forse non ha capito le mie motivazioni, oppure non si è trovato più con le previsioni economiche dell’incasso previsto».
Allora?
«Ha cominciato a fare strani discorsi, impedendomi una prima volta di raggiungere l’aeroporto per ripartire. Io non chiedevo altro, volevo solo andare via, ma ero una ragazza sola. Ho avuto paura soprattutto la seconda volta che volevo partire, quando mi ha fisicamente costretta a entrare in una camera, sequestrandomi i bagagli e il passaporto, prima di chiudere a chiave».
Per fortuna non ha preso il suo cellulare. Ma perchè non si è rivolta alla polizia locale?
«Avevo saputo che le popolazioni locali vedono come un affronto il gesto di chiamare la Polizia; avevo paura di scatenare una reazione violenta. Allora ho deciso di allertare i miei genitori con l’sms arrivato sul cellulare di mio padre in vacanza a Ferrandina, città di origine di mia madre. Da lì è scattato il cordone diplomatico di soccorso, il bravissimo maresciallo Zaltini ha immediatamente attivato l’ambasciata italiana a Dakar. Con una serie di passaggi e l’ostinazione del maresciallo ferrandinese, è stata allertata la Polizia locale. Gli agenti sono arrivati dove mi aveva rinchiusa, obbligandolo a liberarmi. Poi mi hanno portato in caserma da dove il console onorario francese mi ha accompagnata in aeroporto per il ritorno a Cantu». Ci sono stati momenti di panico, ha avuto timore per la sua incolumità fisica?
«Ho avuto paura, soprattutto quando sono stata costretta fisicamente a entrare nella stanza, ma ero consapevole di non trovarmi a contatto con un uomo violento, bensì con una persona che aveva perso il controllo, forse angustiato da problemi economici. Tutto sommato è stata una situazione semplice, ma ho provato la brutta sensazione di chi perde la libertà. Ora è indagato, ma non voglio dire altro perchè mi fido e mi affido alla giustizia».
Insomma, una brutta avventura finita bene. Se ne avesse l’opportunità tornerebbe in Senegal?
«Certo. Io sono abituata a viaggiare all’estero e anche se un episodio del genere non mi era mai capitato, ne trarrò un insegnamento di maggiore prudenza. Spesso, quando mi trovo in altri Paesi, sono solita aprire contatti e rapporti con persone del posto di cui posso fidarmi. Sono culture diverse dalla nostra, che spesso nutrono sentimenti di razzismo al contrario, considerando gli europei persone ricche da spremere con continue richieste di denaro. Forse in questa occasione non sono stata sufficientemente accorta. Un consiglio che mi sento di dare è quello di crearsi amicizie e procurarsi numeri telefonici di persone influenti nei vari posti dove ci si reca in visita. In caso di emergenza si riesce a ottenere un aiuto più immediato». Cosa si sente di dire al maresciallo Zaltini di Ferrandina?
«Ho sempre più fiducia nei confronti delle autorità e delle forze dell’ordine. Le istituzioni italiane all’estero sono molto importanti per chi viaggia, ma il maresciallo mi ha seguito passo passo, dandomi anche consigli di ordine pratico su cosa dire e cosa omettere, come muovermi senza fare passi falsi sull’onda dell’agitazione. Ringrazio Zaltini che mi ha aiutato molto, in otto ore di incubo è stato il mio principale interlocutore telefonico. La diplomazia ha funzionato bene».
Da quanto tempo non torna a Ferrandina?
«Da tanti anni, da quando non ci sono più i miei nonni materni. A Ferrandina risiedono vari zii, con cui mia madre è in ottimi rapporti, anzi mi dispiace averli fatti preoccupare. Sono stata comunque contenta che grazie proprio al mio paese di origine, ho potuto uscire da questo guaio. Un piccolo paese della Basilicata che grazie a un solerte maresciallo e i suoi uomini, è riuscito a smuovere la pachidermica diplomazia italiana a Dakar».
Tutto è bene quel che finisce bene, ora la 29enne di origini ferrandinesi potrà archiviare questa brutta esperienza nel libro della memoria, prima di tornare a Pechino dove vive e lavora stabilmente.
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