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di MATTEO COSENZA
DA due mesi a Rossano una cittadina della Repubblica Italiana è limitata nella sua libertà semplicemente per aver fatto e fare il proprio dovere. Minacciata, scortata, preoccupata per sé e per i propri cari, costretta, come altri suoi colleghi, a entrare e uscire di nascosto dal lavoro attraverso una porta di servizio. Le forze dell’ordine sono impegnate a tutelarla – per farlo qualche poliziotto è stato anche ferito – mentre devono fronteggiare blocchi stradali, sit-in e proteste interminabili in un territorio dove la ‘ndrangheta detta legge.
Lei si chiama Maria Giovanna Cassiano ed è la dirigente della sede Inps di Rossano.
La sua “colpa”? Aver denunciato alla Procura di Rossano una truffa ai danni dell’Inps. Facciamo una premessa, che potrebbe sembrare scontata ma di fatto non lo è. L’Inps è l’istituto che garantisce una pensione dopo anni di lavoro alla maggioranza degli italiani e una serie di ammortizzatori sociali che assicurano la vita di milioni di persone in caso di malattia o di difficoltà. Dunque, è un nostro istituto, di noi tutti italiani, e chi lo truffa non solo commette un reato ma fa un danno a ognuno di noi perché sottrae risorse alla sicurezza della collettività. Non a caso l’Inps vede coinvolti nella sua gestione i sindacati, proprio per salvaguardare questo primario e irrinunciabile interesse pubblico. Evidentemente preoccupati per sospette cifre iperboliche erogate in alcuni territori calabresi nel corso degli anni e sospettando complicità e connivenze di vario tipo, i dirigenti nazionali dell’Inps all’inizio di quest’anno varano un progetto per realizzare un’indagine sulle cooperative agricole della zona Cassano-Sibaritide-Corigliano-Rossano. Le ispezioni fanno emergere un quadro allarmante dominato dalla certificazione falsa – è quanto sostengono gli ispettori nelle loro prime conclusioni – di una moltitudine di braccianti (almeno mille nella sola zona di Rossano, oltre duemila nelle altre aree della provincia di Cosenza) che avrebbero dichiarato di lavorare senza averlo mai fatto. Si ricorda che a fine anno ogni lavoratore, se ha realizzato il numero di giornate lavorative previsto per contratto, ha diritto a malattie, indennità di disoccupazione e tutti gli altri benefici. Viene scoperto, per esempio, che il socio di una cooperativa è presidente di un’altra o che le stesse persone sono soci in più cooperative. Una copiosa certificazione falsa viene acquisita agli atti dell’indagine. Come quella di cooperative nei cui atti risulta che i lavoratori sono andati a prestare lavoro in un certo campo, ma, a precisa domanda, i proprietari dello stesso campo hanno risposto che loro non ne sapevano nulla. Oppure il caso di cooperative che avrebbero lavorato in campi inesistenti perché alla verifica dei certificati è risultato che i cosiddetti proprietari in realtà non possedevano neanche un centimetro quadrato di terra. Ancora: cooperative sciolte ma riformate cambiando soltanto il nome del presidente. Clamorosa la scoperta in una cooperativa che in un anno raggranella un monte salari di circa un milione e ottocentomila euro e che non è in grado di esibire una sola ricevuta che dimostri questo cospicuo giro di denaro: il presidente ha risposto che faceva tutto con denaro liquido. In un anno circa centomila certificati di malattia. In totale una partita di somme stratosferiche per l’Inps: mediamente 4-5 milioni di euro a cooperativa. Quando i risultati dell’ispezione arrivano sulla scrivania di Maria Giovanna Cassiano, questa fa quello che deve: trasferisce con nota di accompagnamento tutto l’incartamento alla Procura di Cassano, il cui capo, Leonardo Leone de Castris, ha una notevole esperienza in materia provenendo, infatti, dalla Dda di Lecce. Dall’Inps nazionale contemporaneamente arriva l’ordine di sospendere tutte le erogazioni in attesa degli esiti dell’inchiesta. E mentre nel resto della provincia di Cosenza gli oltre duemila braccianti indagati aspettano, a Rossano scoppia l’inferno. Da due mesi i dirigenti di un sindacato e di un paio di patronati si sono prodigati in ogni modo, mentre Cgil, Cisl e Uil, certamente non contrari agli interessi dei lavoratori ma preoccupati di tutelare l’istituto che più di tutti li garantisce, hanno preso le distanze dalla protesta. E mentre due o tre consulenti gettavano benzina sul fuoco, qualche amministratore comunale ha dichiarato che “si è messa in ginocchio l’economia della zona”, dove non è chiaro di quale economia si tratti. E alla dirigente dell’Inps è capitato di tutto: lei, però, non ha ceduto e ha continuato a fare il suo dovere. La vicenda parla da sola. Sicuramente ci saranno tanti braccianti che non hanno commesso alcuna scorrettezza o irregolarità e pagano per colpe non loro, ed è augurabile che le cose procedano con la speditezza tale da assicurare loro la dovuta tranquillità, ma in quel territorio è in gioco una partita importante che tocca nel cuore uno degli aspetti peculiari della società calabrese: lo scontro tra la legalità, che può garantire il rispetto dei diritti di ciascuno e le condizioni per una crescita ordinata della Calabria, e l’illegalità che apre spazi enormi alla malasocietà, sempre che non sia stata proprio questa a crearli e implementarli, e impedisce, come la storia e i fatti di questa regione dimostrano, ogni possibilità di reale sviluppo. Alla Calabria le truffe ai danni dello Stato non sono servite, hanno consentito solo a una parte di arricchirsi e crescere in tracotanza mentre agli altri venivano distribuite le briciole, per cui non è mai tardi imboccare la strada della legalità e tappare così la bocca a tutti quelli che tra la Padania e dintorni gettano fango, spesso meritato, su di noi.
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