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di ROBERTO LOSSO
Fino a qualche tempo fa, sia pure con modalità da padre-padrone e spesso corsare, Silvio Berlusconi rappresentava il centro antisismico della coalizione di centrodestra. Riusciva, infatti, ad assorbire lo sciame dei terremoti con epicentro Lega Nord e le scosse di assestamento di An. Entrambe costantemente impegnati a segnare i confini del proprio territorio e della propria identità. La nascita del Pdl doveva servire, tra l’altro, a creare una variopinta holding politica al limite dell’autosufficienza rispetto al sistema elettorale maggioritario. Lo stesso disegno che, nel 1953, spinse la Dc ha giocarsi la carta della “legge truffa”. Di fatto, molto meno oligarchica di quella oggi in vigore. Tra l’altro, grazie alle “intuizioni” della sinistra radical-chic, abbiamo rischiato di ritrovarci nel bel mezzo di un regime democraticamente costituito. Sarebbe bastato che, nell’ultimo referendum, prevalesse il quesito che proponeva di assegnare il premio di maggioranza al partito più votato. Ci è andata bene. Perché Umberto Bossi, schierandosi contro, ha preteso che non se ne facesse niente. E così è stato. In ogni caso, inglobando in un soggetto unitario l’universo mondo delle destre socio-culturali, il Cavaliere puntava a mettere sotto tutela la deriva sciovinista del Carroccio ed a spingere l’Udc nella prigione dorata della rendita di posizione. Quel limbo della politica, cioè, dove, si galleggia assicurandosi le rappresentanze istituzionali ed i finanziamenti pubblici necessari e sufficienti per superare la soglia di sbarramento. La schema elettorale a tre punte, il Pdl al centro dell’attacco con la Lega e l’Mpa ali tornanti, prevedeva che alle europee il nuovo partito superasse l’asticella del 40% dei voti. Può anche darsi che, prima della storiella del papi e dintorni, i sondaggi confortassero questa prospettiva di sfondamento. Altrimenti il premier non ne avrebbe parlato apertamente, lasciando perplessi anche i suoi analisti. I quali avvertivano il rischio che, nella volata finale della campagna elettorale, il privato al peperoncino del presidente galante potesse alienargli le simpatie di settori importanti del mondo cattolico. Avevano ragione. Dalle urne, infatti, è uscito un risultato a sorpresa (35,3%) che lo ha reso nervoso e vulnerabile. È da qui che dobbiamo partire. Altrimenti potremmo sottovalutare la pericolosità delle armi letali che, oggi, il Carroccio può usare a suo piacimento. Questa inattesa situazione di predominio, infatti, ha risvegliato gli istinti peggiori della Lega secessionista e xenofoba. Umberto Bossi ha capito che il destino politico del Cavaliere smascherato è nelle sue mani. Quindi, alza il prezzo della sua “fedeltà”. Pretende tutto e subito: dalle ronde padane ai dialetti lingua ufficiale, dalle bandiere regionali alternative al tricolore alle gabbie salariali. Richieste che, nel loro insieme, sono una prova generale d’attentato all’unità nazionale e di regolamento dei conti con quel Sud che si vuole sempre più isolato e marginale. Non è un teorema. È un pericolo reale e concreto, che andrebbe affrontato per quello che è. Non mi sembra che siano emerse consapevolezze adeguate per contrastare questo golpe antimeridionalista. Nel Pdl prevale il culto della personalità. Tutti sperano nella resurrezione del Silvio trionfante che, sconfitti i demoni che oscurano le sue eccelse virtù, riporti sulla retta via quella testa calda di Umberto Bossi. Anche l’”altra” corte dei miracoli, però, mostra i suoi limiti e la sua commistione con la cultura emergente che considera prioritaria la questione settentrionale. Tutto ciò è possibile, perché il Sud ha smarrito la propria identità e la propria capacità di stare all’opposizione. È confuso e perdente, questo Mezzogiorno. Perché non esprime, al proprio interno, leadership che contano sul piano nazionale. A tutti i livelli. Infatti, non è dolosamente assente solo la politica. Manca all’appello anche il Sud dei sindacati, delle autonomie locali e delle università. Eppure, in termini pratici, l’attacco leghista porterà meno lavoro, meno finanziamenti, meno cultura. Anch’esse sembrano rassegnate a raccogliere quello che passa il convento. Viene da chiedersi. E se il Sud ormai fosse veramente un bidone vuoto? Quindi, indifendibile. Perché consuma il proprio dramma nel grigiore dell’idolatria del potere. Nella selva oscura di questa resa senza condizioni, appare meglio di niente l’analisi critica di Agazio Loiero (“Il divario tra Nord e Sud si allarga, quando la Lega detta l’agenda”). Qualcuno dirà che predica bene e razzola male. Può darsi. Lui, però, almeno ci prova a difendere le ragioni del Sud e della Calabria.
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