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di FRANCO CRISPINI
Il nostro Ceaucescu non sopporta di avere sovversivi in casa propria; gli fa comodo immaginarseli fuori per poterli additare come un pericolo per il Paese, da tenere continuamente a bada. Quella che aveva l’apparenza di una secessione sudista che portasse alla formazione di un Partito del Sud era solo una bolla di sapone, ha prevalso l’obbedienza al Capo. Forse un po’ di fuoco è rimasto sotto cenere ma solo nel senso che in nome di rivendicazioni autonomiste potrebbe essere consumato qualche altro ricatto. E nemmeno questo, quel che i “rivoltosi” si proponevano ha lasciato le armi spuntate : sono bastate delle concessioni, degli annunci (di un Piano Marshall!) per tornare facilmente all’ovile. Quelli che hanno inscenato i “vespri siciliani”, la grande protesta in nome di un Sud messo da parte dalle politiche berlusconiane, i Lombardo, i Miccichè, probabilmente si proponevano non già di cambiare gli indirizzi di fondo di un Partito, il PdL, a “vocazione nordista”,sebbene di strappare risorse finanziarie (che secondo il leghista Calderoli verrebbero poi gestiti in modo “criminale”) da impiegare per ripianare ed attivare quello che programma il governo autonomista. Aver dato l’immagine di chi impugna la bandiera dell’autonomismo, l’essersi fatti portavoce di una sofferenza del Sud per la quale sollecitare una attenzione di chi ha le redini di tutto, di un partito verticista e carismatico, è servito assai bene a nascondere interessi e mire proprie dei rivendicazionisti. Ciò ha indubbiamente portato il leader maximo a rendersi meglio conto che il problema agitato avrebbe potuto ledere la compattezza del blocco sociale e culturale che regge il Paese, e distrarre e scoagulare forze dal grande contenitore. Questa virtualità ha spinto il Cavaliere a fare ricorso ai suoi poteri eccezionali per richiamare al “credere, obbedire”, motto del ventennio divenuto tanto attuale, senza quel “combattere” da riservare solo per vincere i nemici della sinistra sempre in agguato, ed anche ora pronti a sostenere contro di lui le ragioni del Sud. Anche qualche reazione leghista-nordista, a seguito di una proclamata apertura della borsa per la Sicilia di Lombardo e Miccichè, il Cavaliere sa come fronteggiarla, sa come sostanzialmente non fare alcun passo indietro riguardo alla natura “nazionale” del PdL, cioè al suo essere un Nord capace di guardare a tutto il Paese; nessun torto alla Lega ed a Tremonti che, sicuri delle garanzie del Cavaliere, possono essere disposti anche a cedere qualcosa. E tuttavia, un governatore come Giancarlo Galan, paventa il rischio, ai soli annunci, che ci si allontani dalla strada maestra : il localismo è una furbizia per avere interventi straordinari e “ritorno ai fantasmi del passato come la Cassa del Mezzogiorno”; il meridionalismo non è sudismo, perché, dichiara ancora Galan, “la vera cultura meridionalista punta a unificare il paese, non a far proliferare mille localismi”. In questo non si può certo dar torto a Galan, ma è proprio dalla sua parte, dove c’è un vuoto di cultura meridionalista, che viene la furbizia di agitare lo spettro di un Sud che non trarrà nessun vantaggio dal federalismo e può vivere solo di “assistenza” (un Sud “assistito” fa comodo in fondo al Cavaliere padrone di un PdL nordista!). Se il PdL sta vivendo, per così dire, questo suo travaglio interno provocato dallo “stormir di fronde” di agitatori di giornata, subito pronti, per altro verso, a piegarsi e convertirsi al “credere ed obbedire” una volta che il Capo ha richiamato all’ordine, con “pugno di ferro e guanto di velluto”, che ne è di quel contagio sudista che ha preso anche l’altra parte, Bassolino in testa ? Anche da lì si vuole lucrare sul Sud? Non è difficile mostrare che su questo lato del fronte meridionalista, le cose stanno diversamente : non c’è un Partito a prevalente connotazione nordista cui dover rendere conto, nelle cui maglie strette doversi muovere, non c’è il diktat di chi detta ad un Partito le proprie strategie le quali non prevedono una “questione meridionale” che ne possa deviare il corso, creando concorrenzialità con un partner decisivo quale è la Lega. Né per i leader politici che nel campo, soprattutto dei democratici, richiamano (come ad esempio fa Bassolino col suo “Sud”) alla particolare urgenza ed attualità del problema di un Sud discriminato, vi è un imperativo di adeguamento, meglio, di sottomissione, come avviene tra i berlusconiani, ad un Partito che lascia mano libera solo al leghismo nordista. Tutt’al più, ma non è poca cosa, potrebbero affacciarsi tentazioni localistiche e territorialistiche per la cui gestione non vi sono specifiche attrezzature e disposizioni culturali: sarebbe davvero rovinoso declinare il meridionalismo in quei termini, un peccato che il Pd non dovrebbe commettere aggiungendolo ai tanti altri che ne costellano, specie in questi giorni di bollori congressuali, i comportamenti.
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