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di ANNAROSA MACRI’
– IO faccio il forestale, mia moglie è una brava ricamatrice. I nostri tre figli si arrabbattono. Non siamo ricchi, ma potremmo vivere tranquilli, e invece da quel po’ di stipendio ogni mese dobbiamo tirar fuori dei soldi, metterli da parte…
– Per cosa? Pensate alla vecchiaia, alle malattie?
-Ma no, la malattia qua è il paese in cui viviamo, è la giustizia italiana… qui come niente ti bussano alla porta e ti trovi un figlio in galera. E se non hai subito i soldi…
– Per gli avvocati, vuole dire?
– Fosse solo quello… Lo fanno apposta, gli uomini di legge: ‘sti ragazzi li mandano in carceri lontane… allora andiamo a trovarli ma il treno costa, e poi come si fa, si va a mani vuote? I soldi non bastano.
– Ma scusi, ma a lei è già successa una cosa così?
– A me no e ringrazio la Madonna della Montagna, ma si sa come va il mondo da
queste parti…Può succedere domani…
Il dialogo che avete letto si è svolto in un paesino della Locride, il cui nome comincia con la P e finisce con la i accentata. La mafia coltiva zone grigie e indecifrabili, dove il confine tra l’essere collusi e l’esserne vittima è labile come la nebbiolina che avvolge l’Aspromonte che sta lì a un tiro di schioppo.
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