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di ALFONSO LORELLI
Al liceo Berchet di Milano gli alunni, mediante questionari anonimi, sono stati ufficialmente chiamati a dare un giudizio sui loro insegnanti. Così, a fine anno, accanto ai voti assegnati dai docenti agli studenti, sono comparsi in bacheca anche i “giudizi” dati dagli studenti ai loro professori.
Quegli adolescenti che dovrebbero essere istruiti ed educati da persone alle quali lo Stato riconosce la capacità di farlo, sono stati invece chiamati a
giudicare le conoscenze disciplinari e la loro capacità di insegnare. Sono risultati “bocciati” alcuni docenti di Matematica, di latino e di greco. C’è da credere che ottimi giudizi hanno ricevuto invece i professori di Educazione fisica e di religione, mentre tutti gli altri sono stati valutati “sufficienti”o“discreti”.
Quale sia la finalità di simile scempiaggine non è facile capire; certamente essa è stata presentata come “trasparenza”, “democrazia”, “dialettica educativa” et similia. Il tutto all’interno del marasma che domina oggi nella scuola italiana,
sempre più avviluppata in una normativa confusa e contraddittoria, che ai mali accumulati nel passato somma l’insipienza di ministri e di apparati centrali e periferici, il desiderio di fuga di docenti demotivati che hanno abbandonato il proprio ruolo educativo e formativo, le lagnanze di famiglie che sanno collocarsi
in modo acritico soltanto dalla parte dei loro figli, anche quando sono teppisti e fannulloni. La scuola italiana è diventata una specie di terra di nessuno, «nave
senza nocchiero in gran tempesta», dove tutti i ministri e le loro corti di
sapienti improvvisati si sentono autorizzati a dire e disdire, fare e negare, presi da un delirio riformatore mai fondato su di un progetto pedagogico e filosofico, come invece è sempre stato nel nostro passato post-unitario, dal positivismo ottocentesco al neoidealismo gentiliano, dal pragmatismo al materialismo storico ed al neo-positivismo. Ogni riforma della scuola ha sempre
avuto un retroterra scientifico di natura filosofica e pedagogica, una idea di uomo e di società che si intendeva favorire nel loro itinerario di vita, di libertà e di progresso. Non per caso ogni riforma della scuola è legata al nome di grandi filosofi e pedagogisti: Gabelli, Agazzi, Codignola, Lombardo-Radice,
Gentile, Croce, per citarne solo alcuni. Da qualche decennio invece ministri,
governi, parlamenti, anche nel settore della scuola come in altri settori della vita pubblica italiana, procedono per improvvisazioni, per tentativi occasionati, convinti soltanto che bisogna cambiare; se poi il cambiamento finisce con il
peggiorare lo stato di cose presenti a loro non importa gran che, ben presto si provvederà a riformare il già riformato. Allora non c’è da meravigliarsi tanto se un dirigente scolastico, invaso anche lui dal sacro furore riformista, decide di far dare dagli adolescenti della sua scuola la pagella agli insegnanti. Non so se una tale iniziativa sia legale o se, invece, quel dirigente abbia violato la legge, anche quella sulla così detta autonomia scolastica. Certamente è contro ogni principio educativo perché convince gli insipienti di poter giudicare, ed anche condannare, i sapienti; come è avvenuto in ogni fase decadente degli Stati.
Ragazzi che non conoscono gli algoritmi, le geometrie-non euclidee o la teoria degli insiemi, vengono chiamati a giudicare coloro che quelle cose le sanno e le insegnano. Adolescenti che ignorano ogni nozione di sintassi del periodo e della
proposizione greca e latina, e che magari ne rifiutano lo studio considerato un inutile perditempo, vengono chiamati a dare un voto al loro insegnante che quelle regole linguistiche le sa, ne conosce l’importanza e che, magari, avrà interrogato
quegli alunni segnando un quattro sul registro. Scenario pazzo che neanche Erasmo
è riuscito ad immaginare nel suo “Elogio della Follia”. Come è pensabile che sia positivo ed educativo far giudicare chi sa da chi non sa? Chi è chiamato per legge
ad insegnare valori e saperi ai giovani da chi, magari anche riottoso o incapace, è destinatario di quegli insegnamenti? Non è certo un caso che al Berchet di Milano, come hanno scritto alcuni giornali, sono stati “bocciati” proprio i professori delle discipline tradizionalmente più difficili: matematica, greco e latino. Una bella rivincita sugli insegnanti da parte dei tanti asinelli presuntuosi, magari figli di quella borghesia lombarda che ha in odio gli studi seri perché sa che «danaro e scienza non hanno comune residenza».
Gli insegnanti italiani, già tanto bistrattati e lasciati in balia di riforme e circolari “pazze” che si succedono ad ogni stormir di fronde, ora devono subire anche l’affronto di essere valutati pubblicamente dai loro alunni, ai quali un ministro di “alto” spessore culturale come quelli che si sono succeduti negli
ultimi anni a viale Trastevere, potrebbe conferire anche il potere di licenziarli.
Qualche anno prima di andare in pensione, dopo aver dato una serie di tre e di quattro ad un ragazzo poco capace e poco volenteroso, ho ricevuto la visita della mamma che chiese spiegazione di quei voti negativi. Dissi che il figlio aveva difficoltà nella organizzazione logica del pensiero, studiava poco ed in classe era sempre disattento durante le spiegazioni e le interrogazioni. Rispose: «Ma come è possibile? A me la dice sempre la filosofia!»
Domandai: «Ma signora lei in che cosa è laureata?». Risposta: «No, io veramente ho la terza media», Quella mamma e quel figliolo, se fossero stati chiamati a giudicarmi, mi avrebbero certamente bocciato.
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