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di PARIDE LEPORACE
Il rettore rosso ci ha lasciato. E ci lasciano la sua carica di giocosa eversione, l’amore per la cultura, il gusto dello sberleffo, la passione di essere immerso nel mondo universitario diventandone alfiere contro i fortilizi di quell’ufficialità che non ne amava look e comportamenti.Era difficile avere un rapporto condiviso con il professor Antonio Mario Tamburro.
La sua personalità eclettica non concedeva sconti. Soprattutto se ponevi critiche all’Università della Basilicata. E scontri ne abbiamo avuto molti. Ma sempre con lealtà. Ci siamo schierati però anche dalla sua parte. Soprattutto quando in una delle sue molto particolari inaugurazioni dell’anno accademico accompagnate al ritmo del Valse triste di Sibelius le aveva cantate a modo suo al potere politico e al Giornale di Berlusconi citando il suo amato Lenin con l’intercalare del celebre “Che fare?”. I parlamentari del centrodestra si erano alzati sdegnati creando una polemica ad arte che non aveva ragion d’essere.
Scrissi un pezzo a sostegno della libertà di citazione e invitai il rettore in redazione in segno di solidarietà culturale che venne molto apprezzato. Ha regalato alle nostre collezioni anche un paio di riflessioni sulla ricerca scientifica. Era un scienziato di altissimo livello. Non tutti lo avevano compreso in Basilicata.
Il suo amico Franco Piperno ne parla come di un “ricercatore furioso”. Instancabile. Biofisico con conoscenze straordinarie sulla quantistica era approdato con successo alla chimica raggiungendo livelli straordinari nelle sue ricerche. Lo dimostra la sua quarantennale attivita’ di ricerca nel campo della chimica biorganica dove ha studiato il folding delle proteine. Ci lascia 174 pubblicazioni su riviste quasi esclusivamente internazionali.
Nel 2002 era stato insignito della Laurea Honoris Causa dall’Università di Reims, Champagne-Ardenne in Francia. Era l’espressione più autentica di quella cultura sessantottina che aveva fatto degli studi il grimaldello per cambiare lo stato reale delle cose presenti riuscendo al pari di un Cohn-Bendit ad entrare nella stanza dei bottoni per non restare un parolaio. Il suo essere stato preside di Scienze e rettore dell’Università della Basilicata lo aveva sempre considerato “un impegno per la scienza” come ricorda un’intervista pubblicata in un libro della Bruno Mondadori.
Triestino di nascita, aveva studiato e iniziato la carriera universitaria nella Padova intrisa dal fascino di Galilei e Toni Negri, sempre facendo vanto di quella formazione. Approderà poi in Somalia e in Basilicata. Nella nostra regione viveva da vent’anni apprezzandone il vino, il pensiero meridiano e l’agitazione di terra di frontiera. Non tutte le sue scelte di politica universitaria sono state condivisibili, ma ha sicuramente contribuito alla sprovincializzazione dell’intellettualità locale.
Il prossimo 3 settembre avrebbe compiuto settant’anni. Non era mancato chi aveva contestato la sua voglia di continuare a stare nella sua casa di sempre anche dopo il limite posto dai regolamenti. A far rispettare la norma ci ha pensato signora Morte. Lo ricordiamo protagonista di lezioni in piazza con i ritrovati giovani contestatori dell’Onda, appassionato cultore delle Voci di Sally, presentatore del suo romanzo biografico in una vineria di Rionero. Affabulatore raffinato, scienziato illuminista, sognatore materialista capace di sporcarsi sartraniamente le mani con la gestione del potere accademico. I suoi detrattori evitino santificazioni postmortem. Siamo certi non li avrebbe graditi. Ti sia lieve la terra compagno Tamburro.
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