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di LEO AMATO
Il gesto parla da solo. Una mano al collo, le dita che stringono la laringe, oppure di taglio da un lato all’altro: “Carminuccio era strozzato”.
Lo dice un suo amico, Rosario Casillo, davanti al collegio del Tribunale di Potenza. «Era strozzato da morire. Aveva messo in vendita tutto quello che aveva, e gli mancavano i soldi anche per mangiare». Carminuccio è Carmine Guarino, imprenditore di Potenza. L’imputato, Renato Martorano. Uno è in carcere da una settimana (doveva scontare un periodo di affidamento in prova per un reato minore,
ma ha violato il regime di sorveglianza, e adesso è di casa a Secondigliano).
L’altro è rinchiuso da più di un anno con l’accusa di usura ed estorsione con l’aggravante del metodo mafioso. Ieri mattina c’è stata udienza nel Palazzo di giustizia di Potenza per il processo cosiddetto Nibbio. Martorano era presente in videoconferenza dal supercarcere di Cuneo, dov’è sottoposto al regime del 41bis.
Casillo è un teste importante dell’accusa. Ha raccontato dei soldi che Guarino pagava a “Renato” («trenta, trentottomila al mese come minimo»), un debito che era cresciuto in pochi anni a interessi spaventosi, e che alla fine lo stava soffocando. «Deve avergli restituito in tutto quattro o cinque milioni. Quando
Carmine incassava dei mandati di pagamento molte volte Renato se li pigliava tutti… Era strozzato da morire… Un giorno gli portai dieci mila euro, Carmine mi fece nascondere in uno stanzino, e arrivò Renato a prendere i soldi… Era terrorizzato… Aveva paura per la sua incolumità fisica… Una volta lo vidi con un occhio nero, e mi disse “Guarda che cosa mi hanno fatto”». Un tempo tra i due c’era una certa complicità. Nel 2004 Guarino era finito assieme a Martorano nell’inchiesta Iena2 sui rapporti tra mala, imprenditoria, e pubblica amministrazione. Poi i rapporti si erano incrinati. Secondo Casillo, Martorano gli
aveva prestato i suoi soldi, ma non solo, e tira in causa altre due persone:
«Faceva da garante per Guarino anche rispetto ad altri: Matteo Di Palma, Gerardo Vernotico, e un altro ancora… più di Martorano, Carmine aveva il terrore proprio di Di Palma. Mi diceva che doveva restituire i soldi in quel posto a quell’ora,
altrimenti succedeva l’ira di Dio… Tutti usurai». Così l’amico gliene prestava di suo: «Più di un milione in tutto…Una volta duemila, una volta dieci, una volta una macchina…», e giù di lì. Casillo è ricco di un patrimonio ereditato qualche anno prima, moltiplicato grazie ai suoi affari con il commercio di auto, e alla fine gliene avrebbe abbonati la maggior parte, circa ottocento mila, proprio in virtù della loro amicizia. Gli avvocati non credono a una virgola, e i giudici sospettano che sia un teste “compiacente”, che significa troppo amico per essere oggettivo e spassionato. Casillo insiste: «Veniva da me piangendo… Era ridotto malissimo… Carmine in fondo è un uomo buono, e non era bello vederlo così…
Quando era agli arresti domiciliari, l’anno scorso, andavo tutte le mattine a portargli un cornetto. Era molto spaventato. Mi ha detto bussa quattro volte così capisco che sei tu. Anche Renato andava a trovarlo… Aveva paura di fare denuncia… Poi Renato è stato arrestato, e mi ha detto che finalmente si sentiva libero».
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