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di EMILIO GRECO
La prima conquista dell’uomo moderno, rispetto ai suoi meno fortunati predecessori, sarebbe la libertà. Tanto preziosa che si vuole scriverla con l’iniziale maiuscola, anche se, secondo grammatica non le compete. Intendiamoci:
non neghiamo che la libertà sia cosa importantissima. Tanto importante che possiamo affermare che essa è la condizione prima e indispensabile per qualsiasi realizzazione dell’uomo, sia come singolo che come collettività; per questo non può essere un principio: questo, il punto! Prendiamo la salute, per esempio.
Anch’essa è importantissima, ed è una condizione indispensabile per la pienezza di vita delle persone come dei popoli.
L’illusione di libertà è la peggiore nemica della libertà. E allora ci chiediamo: a seguito delle tante liberazioni che lo hanno beneficiato, l’uomo di oggi è veramente più libero o s’illude di esserlo? Si crede in giro che la libertà sia, per la persona, la possibilità di agire secondo la propria volontà.
La definizione è sbagliata, e lo vedremo. Ma cominciamo con il verificare se anche una libertà così realisticamente concepita sia oggi realizzata, e se lo sia in misura maggiore che in tempi andati. Il campo della libertà intesa come dicevamo sopra, è quindi limitato non soltanto dal Durfen ma anche dal Konnen. Bene, se veniamo ora a considerare la vita che offre all’uomo libero dei paesi “civilizzati” l’assetto che la società ha conquistato dopo tanta lotta per la libertà (quella con la A maiuscola), ci accorgiamo che essa è il risultato di una complicata condizione dell’uomo e dell’altro sistema di vincoli, per cui il campo in cui uno può fare come vuole si è ridotto, striminzito come non mai. Se paragoniamola quantità di obblighi edi divieti esistenti in un paese qualunque, nell’oscuro e tirannico Medioevo, con quelli vigenti in una città moderna il risultato non può lasciare dubbi. I primi potevano essere tutti scritti sulle pagine di un attuale quotidiano di medie dimensioni e qualsiasi uomo di legge li conosceva a memoria; i secondi – se alle leggi formali si aggiungono decreti, regolamenti, eccetera, – non basterebbe a contenerli un’opera del volume dell’enciclopedia Treccani, e occorrerebbe uno specialista non per conoscerli (che è impossibile), ma per consultarli e raccapezzarli a fatica.
La vita quotidiana di un individuo che svolga una qualsiasi modesta attività è tutto un divincolarsi affannoso tra le spire di una legge onnipresente, pignola, saccente, arzigogolata, che non vi lascia pace neppure nell’intimità domestica o
nelle ore si riposo e di svago, vi perseguita, vi taglieggia, vi scoraggia
qualsiasi iniziativa libera. Persino i contratti liberamente stipulati tra le parti, arriva la legge e ve li cambia in mano ne muta addirittura la natura, ne rende il contenuto originario assurdo e vessatorio per una delle parti, a suo piacimento, senza neppure la possibilità di recederne. E questa sarebbe la libertà? Ma – si dice – almeno coloro che esercitano il potere legislativo ve li scegliete da voi! Questo si racconta ai bambini delle elementari (alle mediegià non ci credono più). Ma guarda dove è andata a rifugiarsi la libertà individuale,
poveretta! In quel voto che si da ogni tanto alle liste scelte dai partiti, e che non conta assolutamente nulla tra le decine di milioni di altri voti!
E infatti: 1) che i governanti siano semplici esecutori delle volontà del popolo è notoriamente smaccatamente falso. Secondo tale alibistica favoletta il potere non esisterebbe. Esiste invece, eccome! E come lo inseguono e lo concepiscono i politici! E come lo sfruttano, quando l’hanno arraffato!
Non esiste sulla carta, d’accordo. Ma gli italiani non stanno sulla carta come un etto di mortadella, stanno in Italia, dove la discrezionalità della pubblica amministrazione è la fessura nella diga, attraverso la quale irrompe la corrente impetuosa dell’arbitrio, del clientelismo, del gioco politico. Il potere, in teoria, risiede nel popolo, ma in pratica risiede in una classe dirigente inamovibile, spregevole e grifagna, e il popolo è fatto di sudditi ancor più che al tempo del vituperato assolutismo.
2) La legge (quella uguale per tutti) è diventato un tale inestricabile guazzabuglio che può essere interpretata e applicata come si vuole. E’ nato così un altro potere imprevedibile e arbitrario: quello dei giudici. Spesso non è colpa loro, ma è così. Non basta rispettare la legge (e non è cosa da poco), per essere tranquilli. Occorre anche incappare in un giudice che la interpreti allo stesso modo, altrimenti ci si trova delinquenti senza accorgersene.
3) Il diluvio di obblighi e di divieti che continua a piovere ogni giorno sul popolo sovrano provoca ai galantuomini un tale peso e intralcio che è senz’altro conveniente, ai fini del raggiungimento del successo, eluderli e fregarsene, a costo di correre qualche rischio. Così i fuori legge (magari in doppiopetto, con il cognato sottosegretario e la sorella “velina”), i furboni dall’occhio strizzato, i mafiosi di questo o quel “giro”, tolti quei pochi che finiscono nelle patrie galere, arrivano sempre primi nella corsa al potere economico (che oggi è quello che più conta), lasciandosi indietro gli altri, arrancanti sotto il gravoso fardello della legalità. E il loro potere effettivo, spesso strettamente a
quello, non meno illegale, dei politici, completa la cappa di piombo sotto la quale sta agonizzando la residua illusione di libertà! In alto non si può andare. Non si può nell’uno o nell’altro senso che dicevamo prima. Libero rimane soltanto
il campo che non fa gola ai nuovi autocrati. Libero è solo l’abortire, il drogarsi, il cornificare il coniuge, il vendere pornografia, il prostituirsi, il sodomizzarsi. E non abbiamo finito. Dicevamo che la definizione “libertà” è fare ciò che si vuole è sbagliata. Libertà è fare ciò che corrisponde alla propria vera e profonda natura: realizzarsi, insomma. E la volontà, sappiamo bene, non è affatto sempre rispondente alla realtà interiore del soggetto: tutt’altro. Essa può essere influenzata e distorta in mille modi,nonsolo con la Coartazione che interviene dopo che essa si è formata. Lo stesso codice civile prevede tre modi di viziare il consenso: oltre alla violenza, l’errore e il dolo. E alla violenza si resiste molto meglio che all’errore o all’inganno (dolo), perché essa si avverte subito, mentre l’errore e il dolo di solito si scoprono spesso troppo
tardi, a fatto compiuto. Ingannando qualcuno, lo si priva della propria libertà più che costringendolo. Un’altra libertà, la libertà di stampa di cui tanto si è esaltata la conquista (e oggi, molto più importante la libertà d’antenna) mostra il suo sinistro rovescio. Di essa possono (Durfen) godere tutti, sulla solita
carta. Ma quanti veramente possono (Konnen) mettere su un giornale o una emittente, soprattutto se non si muovono nell’ambito o almeno all’ombra del potere ufficiale? E tutti gli altri? E il popolo? Sul popolo può liberamente essere rovesciata ogni giorno, dalla televisione, addirittura ogni ora, una tale massa di propaganda anche subdola e subliminale, che già oggi si può dire che chi
possiede ancora una volontà libera, non condizionata e indirizzata, frutto del suo essere e della sua personale esperienza e riflessione, è quasi una rarità. Gli altri sono sudditi, disperatamente sudditi, nel pensare e nel volere prima ancora che nell’agire.
Questa e non altra è la libertà di essere e di vivere come vogliono loro, gli innominati, la libertà di degradarsi e di arrendersi, la libertà del bastone e della carota. In cambio della sua anima!
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