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di MATTEO COSENZA
Di questi tempi sono rare le occasioni per rinfrancarsi guardando come va la nostra professione. Per lo più capita quando si parla del passato, per esempio se si rievoca un grande come Indro Montanelli. E ti viene lo sconforto quando vedi un direttore importante come Ferruccio De Bortoli balbettare qualche insipida
domanda (domanda?) a Berlusconi nel salotto casalingo di “Porta a porta”.
Ecco perché il libro appena uscito di Enrico Mentana si annuncia come una boccata di ossigeno in un’aria stagnante e quasi irrespirabile.
Lo leggeremo ma l’anticipazione di Vanity Fair ci consegna un documento che dice più cose sull’Italia di oggi di quanto ne metta insieme un’opposizione sconclusionata. Leggete la lettera che Mentana scrisse a Fedele Confalonieri la notte tra il 21 e il 22 aprile 2008, dopo una cena con i vertici di Mediaset e tutti i suoi direttori giornalistici, a una settimana dal trionfo elettorale di
Berlusconi. «La nostra cena – scrisse il giornalista – si è conclusa da poche ore. Le dico francamente che è stato un errore invitarmi. Mi sono sentito davvero
fuori posto. C’era tutta la prima linea dell’informazione, ma non ho sentito parlare di giornalismo neanche per un minuto. Sembrava una cena di Thanksgiving…
Un giorno del ringraziamento elettorale. Tutti attorno a me avevano votato allo stesso modo, e ognuno sapeva che anche gli altri lo avevano fatto. Era scontato, così come il fatto di complimentarsi a vicenda per il contributo dato a questo buon fine… Non mi sento più di casa in un gruppo che sembra un comitato elettorale, dove tutti ormai la pensano allo stesso modo, e del resto sono stati messi al loro posto proprio per questo… Mi aiuti a uscire, presidente! Lo farò in punta di piedi». Lettera scritta, si badi bene, nel momento del trionfo del suo editore. In primo luogo, quindi, va sottolineata la coerenza di chi ha seguito
un percorso difficilissimo di autonomia professionale fino a lasciare l’azienda o, se si preferisce, di fatto ad esserne cacciato. Ma quello che emerge con forza
da questa testimonianza dall’interno è un aspetto più generale, vale a dire la pratica ormai normale dell’asservimento della professione giornalistica ad una causa privata. Della correttezza dell’informazione, di cui si lamenta il premier, non c’è più traccia, passa la linea che vuole il padrone, che va servito per vincere tutte le sue battaglie, anche quelle elettorali. Perfino una vicenda come quella del possibile divorzio tra il capo e sua moglie diventa l’occasione per orientare l’opinione pubblica nel modo voluto dal capo medesimo.
Questa, purtroppo, è l’Italia in cui viviamo con disagio e con preoccupazione. Ci aggrappiamo a quei rari sprazzi di un pensiero autonomo nella speranza di poter contrastare la possente macchina da guerra dell’informazione pilotata. Pensate un po’, riusciamo a trovare un pizzico di ottimismo ascoltando Gianfranco Fini o leggendo l’editoriale domenicale di Eugenio Scalfari. Evidentemente, se accade questo apparente paradosso, ci deve essere davvero qualcosa di molto grave nell’Italia di oggi.
Mentana scrive a Confalonieri: «Mi aiuti a uscire, presidente!». E’ uscito, ma lo spettacolo continua. E c’è poco da divertirsi

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