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Anche nei centri di lingua e cultura albanese, legati al rito greco-bizantino, sacro e profano si fondono in un abbraccio molto antico, soprattutto in occasione della festa legata alla Santa Pasqua.
Le numerose e suggestive manifestazioni celebrate nel corso della ‘Jave e Madhe’ (la Grande e Santa Settimana) rievocano i misteri della passione, morte e resurrezione di Gesù.
Nelle sacre funzioni i papàs (i sacerdoti di rito bizantino) usano l’italiano per le letture scritturistiche, il greco per l’esecuzione degli inni sacri e l’albanese per intonare le ‘kalimere’, i caratteristici canti legati alla Passione di Cristo.
Il Venerdì Santo, giorno di lutto, le campane rimangono mute e per annunciare l’inizio delle funzioni in molte chiese si usa ancora la ‘troka’, uno strumento di legno che produce un caratteristico suono cupo, usato anche nel corso della suggestiva e toccante processione di Gesù morto, che ha inizio dopo il tramonto.
Due i cori che accompagnano il corteo funebre: quello delle donne, cui spetta il compito di condurre la statua della Addolorata, e degli uomini, cui è affidata la bara di Gesù. Suggestivi sono anche i canti in italiano e in albanese.
Sabato, dopo la commemorazione della sepoltura di Cristo, a mezzogiorno i papàs annunciano la sua resurrezione spargendo in chiesa fiori e profumi e intonano con i fedeli il canto greco «Tòn Kirion imnite, kiè iperipsute is pàndas tus eònas» (Lodate il Signore ed esaltatelo in tutti i secoli).
In alcuni centri (San Demetrio Corone, Vaccarizzo Albanese, San Cosmo e San Giorgio), la notte di sabato i fedeli perpetuano l’antico rito della ‘acqua muta’. Qualche ora prima della mezzanotte, si recano in silenzio presso una fontana fuori del centro abitato, e dopo aver sorseggiato l’acqua, ritornano in paese tra gli echi del ‘Cristòs Anesti’ (Cristo è risorto). Il secondo atto con la tradizione si tiene la mezzanotte di sabato.
A San Demetrio Corone, in un luogo stabilito, si dà fuoco al tradizionale enorme falò di Pasqua, ‘Qerradonulla’, simbolo di purificazione di ogni peccato e colpe.
Domenica mattina, ultimo appuntamento con le cerimonie religiose più peculiari e significative della Pasqua arbereshe. Ai primi chiarori del giorno, si svolge la singolare funzione della ‘Fjala e mir’, (la Buona Parola), che evoca l’entrata di Gesù negli inferi, la sua Resurrezione e la riconquista del Paradiso.
Il sacerdote munito di una grossa croce si presenta sulla porta della chiesa tenuta chiusa all’interno dal sacrestano che, impersonando il demonio inferocito, urla e impedisce a chiunque di entrare, fino a quando il papàs, al terzo tentativo, battuta la finta resistenza di chi si oppone all’interno, fa il suo ingresso in chiesa seguito dai fedeli al canto del ‘Cristòs Anèsti’.
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