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1|7]di SIMONA NEGRELLI
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FRANCO MAURELLA
«Mi sono visto le pareti crollare addosso, poi è venuto giù anche il tetto, un inferno». Marcello Verduci è un «sopravvissuto», così si definisce. Lui è di Reggio Calabria, ha 23 anni e studia Scienze dell’Investigazione a L’Aquila.
Il suo inferno si è materializzato sotto forma di pezzi di muratura venuti giù insieme a calcinacci, intonaco, mentre il boato si confondeva col panico.
«La prima scossa è stata leggera – racconta – intorno alle 21.30, le 22, poi ce n’è stata una più forte intorno alle 23.30, quella potente è stata intorno alle 3.30 e la mia casa ha iniziato a venir giù».
Marcello abita (abitava) a Pile, un quartiere a due chilometri dal centro. «Lì ci sono spazi più aperti, c’è andata meglio». Ma la sua casa ora non c’è più. Viveva da solo in un monolocale di cui restano solo macerie. Ha fatto in tempo a precipitarsi per strada e raggiungere scalzo e in pigiama la casa vicina di un amico, un collega universitario. «Abbiamo passato la notte davanti la sua casa, poi quelli della Protezione civile mi hanno portato un giubbino, perché avevo solo una maglietta sbracciata, e delle pantofole».
Quando si è calmato lo sciame sismico Marcello è tornato a recuperare i documenti e il computer, poi è tornato a Reggio. A L’Aquila ieri c’era anche un gruppo di San Giovanni in Fiore, 35 persone, tutti parenti, c’erano anche undici fratelli.
Erano andati a un matrimonio, a S. Demetrio Ne’ Vestini, di una ragazza di San Giovanni in Fiore, proprietaria di un bad&breackfast, con un ragazzo del posto, proprietario di un ristorante. Dopo la cerimonia, il gruppo è andato a dormire nel b&b e lì è arrivata la scossa della tragedia.
«Mi è sembrato che fosse entrato un treno in camera – dice Angelo Gentile, consigliere comunale del comune silano – sono stato sbattuto da un lato all’altro della stanza». La prima cosa che ha fatto è stata afferrare la figlioletta di cinque anni e fuggire via, andare in strada.
«E’ stato allora che mi sono trovato di fronte a scene da 11 settembre, c’era un palazzo crollato come quei grattacieli. E’ distrutta anche la chiesa del matrimonio».
E’ sopravvissuto anche Davide Mamone, di Vibo. Lui ha 20 anni e all’Aquila è al secondo anno di Scienze motorie. Nella tragedia ha avuto un colpo inaspettato di fortuna. Proprio l’anno scorso aveva cambiato casa e quella che ha lasciato è andato completamente distrutta, quella in cui vive ora è solo lesionata.
Ieri notte, dopo la scossa delle 23, era andato a letto coi jeans, pronto a fuggire. Poi il boato e la fuga inunapiazza del centro, dove è rimasto fino alla mattina inoltrata. Gli aiuti della Protezione civile l’hanno poi accompagnato a recuperare qualche oggetto, le cose necessarie, i documenti, il pc. Poi la partenza per Roma con il padre di un amico.
Stessa sorte per Barbara Amendolara, 21 anni, studentessa del secondo anno in Scienze infermieristiche a L’Aquila. Ha fatto rientro a casa, a Trebisacce, in provincia di Cosenza nella tarda serata di ieri. Nonostante le premure riservatele da mamma Cira, ha ancora negli occhi l’immane tragedia del terremoto. I segni di una notte insonne, vissuta nell’incubo delle continue scosse, sono dipinte sul suo viso e scolpite nella sua mente. Ci sono ancora tanti amici a L’Aquila. Racconta che le scosse si susseguono da mesi ormai. La sera di domenica, Barbara ospitava nell’appartamentino che divideva con una collega di studi, altre due ragazze ed un ragazzo di Napoli. Dovevano studiare perché lunedì mattina erano tutti impegnati a sostenere un esame.
L’appartamento al quarto piano prospiciente la strada principale dell’Aquila è di recente costruzione. I ragazzi sono impegnati a studiare quando, intorno alle 23, avvertono una scossa lunghissima, diversa dalle tante altre a cui pure erano abituati. Ritengono quell’appartamento al quarto piano troppo sensibile alle scosse. Tutto dondola ed il senso dell’insicurezza fa decidere che forse è il caso di spostarsi nell’appartamento di contrada Finette dove, al primo piano, alloggia una delle amiche di Barbara.
Con l’auto dello studente napoletano si trasferiscono nella frazione adiacente al capoluogo. Lì riprendono a studiare. E’ notte fonda quando Barbara e altre due colleghe decidono di andare a letto. Uniscono due lettini e, vestite, vi si coricano in tre. Il ragazzo napoletano e l’altra compagna, continuano a studiare. Le 3 e mezza circa. Per il giovane di Napoli che aveva già vissuto l’esperienza drammatica del terremoto in Irpinia, quell’ultima scossa sembrava diversa dalle altre. Entra nella camera da letto e sveglia, urlando, le tre ragazze. Barbara apre gli occhi e vede calcinacci per terra e polvere che si alza dal pavimento. I muri sono già lesionati. Arraffano quel che possono e corrono in strada.
La rampa di scala che devono scendere è già danneggiata. Guadagnano l’esterno del fabbricato e, entrando in auto, lo vedono crollare sotto i loro occhi. Altra gente era già in strada, perplessa per la scossa delle 23. Le case cominciano a sgretolarsi, ad accartocciarsi sollevando nubi di polvere. Il panorama cambia aspetto. Tutto è desolazione. Si sentono urla e pianti. In macchina, comincia il giro di telefonate alla ricerca di amiche che abitano la Casa dello studente. I telefonini non suonano. I cinque ragazzi decidono di partire per Napoli, di allontanarsi dalla tragedia. Passano davanti al palazzo di Barbara. E’ danneggiato ma ancora in piedi.
Troppo pericolo, però, salire al quarto piano per recuperare gli effetti personali. Poi la telefonata a casa, a Trebisacce e gli zii che partono da Potenza per raggiungere il capoluogo campano e riportarla a casa. Barbara ancora sente le scosse di terremoto.

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