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di PIERANGELO DACREMA
L’attuale recessione fa emergere diverse circostanze su cui è il caso di riflettere, e tra le quali segnalo le seguenti: a) l’economia non è materia per alcuni soltanto, ma oggetto di un doveroso interesse da parte di tutti; b) gli economisti hanno dimostrato una notevole attitudine a sbagliare; c) una migliore e più diffusa conoscenza dell’economia, anche come disciplina, diminuirebbe forse la probabilità delle crisi economiche o aumenterebbe quella di attraversarle in modo meno traumatico.
E’ lodevole l’iniziativa del ministro Gelmini di voler far entrare l’educazione economico-finanziaria nei programmi scolastici, proprio come la matematica o l’inglese. Ma temo che non basti, o non colga il cuore del problema. Non si tratta di approfondire le tecniche – di capire come funziona un conto corrente bancario, un mutuo o un fondo comune di investimento -, ma di saper spiegare che cosa l’economia è, e perché rappresenti una dimensione così ampia e articolata della vita. Le tecniche sono importanti, ma vengono dopo, e hanno più a che vedere con l’idea del lavoro, delle sue innumerevoli manifestazioni, dei suoi luoghi di apprendimento – non c’è nulla di più complicato di certe tecniche, non c’è nulla di più facile che impararle al momento opportuno -, e stanno al disc0rso economico così come il concetto del lavoro sta a quello dell’economia, cioè come una parte sta al tutto. Le tecniche contano, ma dare un’anima alle cose è tutt’altro. E forse tutti oggi cercano altro, soprattutto i giovani, come dimostra la loro appassionata partecipazione ai giorni del G20.
L’economia è costituita in buona parte da comportamenti, pensieri e gesti che si ripetono per abitudine, quasi per assuefazione. Nei momenti di crisi economica, non si può fare a meno di pensare che siano stati commessi errori più o meno gravi, che vi sia stato chi ha agito in modo sbagliato. E diventa pressoché inevitabile credere che l’economia sia stata non solo male realizzata, ma anche male insegnata. A questo proposito, reputo che sia stato un peccato non veniale aver diffuso, soprattutto in questi ultimi anni, un’idea fuorviante della disciplina economica come quella di una scienza piena di numeri da governare, di variabili da ricondurre a grafici improbabili, di grandezze da incapsulare in equazioni impossibili. Il tutto da far combaciare con una rete di rapporti sociali e comportamenti individuali che è quanto di più difficile da razionalizzare e da descrivere.
Per questo reputo indispensabile diffondere la conoscenza dell’ economia innanzitutto tra i giovani. Non è un caso, infatti, che i maggiori sforzi del mondo dell’insegnamento siano sempre stati concentrati sulla giovane età, quella considerata ideale anche sul piano delle capacità di apprendimento. Se nella nostra economia vi è qualcosa di sbagliato – qualcosa da correggere in modo più o meno radicale -, è più probabile infatti che questi aggiustamenti avvengano a opera di chi è portato a essere più coraggioso, fantasioso e flessibile, meno vincolato al passato, più sensibile alle ragioni del cambiamento. A suggerire, inoltre, di privilegiare i giovani come interlocutori di questo discorso, è il fatto stesso che quella dell’economia è una scienza giovane, e ancora molto incerta.
L’economia è sempre esistita. Il fatto economico era ben noto in tutta la sua crucialità ben prima che diventasse oggetto di uno studio consapevole. Perché, viene da chiedersi, un’entrata in scena così recente della disciplina economica, dopo che tante forme del sapere – come la matematica, la medicina, la fisica o l’astronomia – avevano già dato frutti importanti? La risposta, solo apparentemente paradossale, è che nessuno aveva pensato di poter trasformare un fenomeno così normale come quello economico in un argomento degno di un interesse specifico. La verità è che si è sempre saputo che l’economia come arte di sopravvivere, di arrangiarsi, magari anche di arricchirsi si presenta come un’attività inseparabile dal cammino dell’umanità. Come elevare, allora, l’economia al rango di una scienza? A solleticare in modo graduale un interesse di tipo specialistico verso una materia per sua natura così despecializzata, è stata in primo luogo la coscienza stessa dell’uomo, la sua attitudine a osservarsi dall’esterno, a studiare modalità razionali per dirigere le sue azioni verso finalità sempre più complesse. E non è un caso che, come per tutte le altre scienze, anche la disciplina economica abbia trovato nella filosofia la sua fonte originaria. La responsabilità di concepire una scienza economica se l’è assunta, infatti, Adam Smith, professore di filosofia morale e autore nella seconda metà del settecento di un testo basilare come l’Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni. E’ così che un problema vecchio come il mondo è diventato oggetto di una scienza nuova e tanto ambiziosa da voler cambiare il mondo. In effetti, ciò che la scienza economica può fare non è poco, anche perché si deve presumere che una scienza giovane abbia ancora molto da dire.
Molti giovani vivono oggi un’epoca relativamente fortunata. E non deve stupire che ciò possa coincidere con un maggiore senso di incertezza e un più diffuso mal di vivere. Molti bambini, in virtù dei sacrifici e della lungimiranza delle generazioni passate, si trovano ora protetti dal freddo, dalla fame e dalle malattie. E, per il futuro, lascia ben sparare la convinzione che questa protezione vada estesa a chiunque si trovi in condizione d’inferiorità, e che rappresenti un’ingiustizia il fatto che anche solo qualcuno ne rimanga privo. Che si faccia di tutto, oggi, per creare i presupposti di un’infanzia serena, di un’adolescenza confortata da una buona educazione e dalla speranza in un futuro migliore, appare in qualche modo frutto della natura. Ma la misura in cui ciò può in concreto verificarsi è anche frutto della civiltà, del pensiero, affermatosi nel corso del tempo, che i più deboli debbano essere difesi e aiutati. E tale capacità d’aiuto dipende anche dalle possibilità economiche che una collettività è riuscita a darsi.
Che il mondo attuale non sia un luogo omogeneo sotto l’aspetto di queste tutele e delle opportunità che ne conseguono è noto a tutti. Ma sarebbe un’ingenuità arrivare a credere nell’avvento più o meno vicino del giorno in cui il problema economico potrà dirsi definitivamente risolto, e ciò anche quando si riuscisse davvero a garantire condizioni di vita relativamente soddisfacenti per tutti, nessuno escluso. Ci sarà sempre qualcuno che chiede qualcosa di diverso e di più, e che lo vuole subito, o non troppo tardi, perché tutti abbiamo una sola vita a disposizione. Con l’aggravante che si avrà sempre ragione di credere che questo qualcosa non sia questione di pura quantità, ma abbia anche tutto il sapore e le infinite sfumature della qualità.
Per questo la scienza economica non sarà mai così vecchia e saggia da resistere alla tentazione di una proposta, di un’idea nuova – con ogni probabilità quella di un giovane – che prefigura una qualche soluzione per superare una difficoltà esistente, per cercare di ottenere un risultato che ancora non esiste e che per questo stesso motivo si presenta più attraente.
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