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di GIULIA ZAMPINA
Sono trascorsi quasi tre anni da quell’11 aprile del 2006, data che la polizia di Stato ha consegnato alla storia con la cattura del Boss della mafia siciliana Bernardo Provenzano. Due uomini, due calabresi alla guida di quell’operazione,
l’attuale questore di Trapani, Giuseppe Gualtieri e Renato Cortese, capo della Mobile di Reggio Calabria. «In realtà, l’arresto di Bernardo Provenzano – dice Giuseppe Gualtieri – è stato l’epilogo di un lungo e duro lavoro, durato oltre dieci anni, svolto da un gruppo di professionisti seri e qualificati. La mitica
Sezione Catturandi, infatti, aveva anche prima del mio arrivo a Palermo, quale capo della Squadra Mobile, sviluppato un abile lavoro di individuazione di tutti coloro che, a qualunque titolo, facevano parte del “sistema Provenzano”, ponendo in essere una serie di operazioni finalizzate alla progressiva eliminazione di quelle persone che, con la loro opera, avevano consentito al latitante di sfuggire
per ben 43 anni alla cattura. Questo gruppo di tenaci poliziotti – continua Gualtieri – era sostenuto ed affiancato da un qualificato pool di magistrati che ne ha valorizzato l’opera anche sotto gli aspetti associativi, consentendo di
portare a compimento ponderosi procedimenti penali, tutti conclusi con la condanna degli imputati. Ecco perché il mio inserimento nel contesto siciliano è stato agevolato e mi ha consentito di mettere al servizio di questi uomini la lunga esperienza maturata con i ricercati della ‘ndrangheta, spesso padroni
delle impervie zone aspromontane: il lungo lavoro svolto da chi mi ha preceduto, primo fra tutti quel Renato Cortese oggi capo della, a me cara, Squadra Mobile di
Reggio Calabria, ha paradossalmente portato Provenzano a rintanarsi nella sua Corleone e fare un tipo di latitanza molto congeniale all’ultimo arrivato. A ciò si aggiunga che contestualmente era stato creato il “Gruppo Duomo”, estrapolato dalla Catturandi e formato da elementi scelti con cura, coordinati da Cortese e direttamente facenti capo al dirigente della Mobile, cioè a me, a cui confluivano
i dati emersi dalle indagini sulla consorteria di Provenzano e quelli raccolti con le indagini sulla sua cattura. Tale sistema – dice ancora Giuseppe Gualtieri -ha consentito una naturale circolarità delle informazioni, prima spesso patrimonio di gruppi separati di investigatori, con il duplice risultato di non disperdere dati utili per delineare il contesto associativo e nello stesso far confluire verso il “Gruppo Duomo” solo gli elementi utili per addivenire alla cattura del latitante».

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