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di PINO LOMBARDO
L’assassinio di Luciano Criseo perpetrato sabato mattina a Brancaleone va sempre più connotandosi come omicidio di ‘ndrangheta. Poco prima di mezzogiorno di ieri, intanto, presso la sala mortuaria dell’ospedale di Locri, è stato effettuato
l’esame autoptico sul cadavere del 55enne ristoratore assassinato sotto il
portone della propria abitazione appena era entrato in auto. La perizia effettuata
dal medico legale Aldo Barbaro, su incarico del pm della procura di Locri, Rosanna
Sgueglia, non ha fatto che confermare quanto già si sapeva. Tre i colpi mortali
che hanno raggiunto Criseo, uno in viso e due alla nuca esplosi dopo che il ristoratore, che era stato già colpito alla fronte, era caduto riverso a faccia in giù sul sedile del passeggero. Intanto procedono a ritmo serrato le investigazioni condotte dai carabinieri della compagnia di Bianco, diretta dal capitano Andrea Caputo, e da quelli del “Gruppo di Locri”, tutti coordinati dal comandante, il colonnello Francesco Iacono. Si punta a individuare il movente ea risalire agli organizzatori e realizzatori del feroce omicidio. Da quanto va emergendo già in questa primissima fase investigativa, l’assassinio di Luciano Criseo appare agli inquirenti come un “omicidio eccellente” di ‘ndrangheta. E questo non solo per le spietate modalità impiegate ma anche per le amicizie e frequentazioni che l’uomo avrebbe avuto. Infatti il 55enne ristoratore è stato
ucciso da un killer certamente professionista che non si è perso d’animo neppure di fronte alla circostanza che la pistola si fosse inceppata. Il sicario ha girato intorno all’auto e si portato sul lato guida, dove si trovava seduto Criseo, ha aperto lo sportello e ha sparato contro l’indifesa vittima i primi due colpi mortali in fronte, uno dei quali centrava il braccio che la vittima alzava
istintivamente a mo di protezione. Poi il killer ha rifatto al contrario il giro dell’auto e, sportosi sul suo lato destro della vettura, ha aperto anche lo sportello del passeggero per poter sparare due colpi di grazia alla nuca ed alla tempia del ristoratore che, molto verosimilmente, era già morto dopo il primo colpo preso in fronte.
Un killer del genere è merce che solo un’organizzazione ‘ndraghetistica può
consentirsi. Si pensa che, dopo aver compiuto la barbara missione di morte, si sia
allontanato per raggiungere forse un complice che lo attendeva nei pressi con
un’auto, forse la stessa Fiat Punto rubataqualche giorno prima a Melito e che i carabinieri, dopo un’oretta dell’omicidio, trovavano abbandonata a Brancaleone nel
greto del torrente Cardara. Al momento nessuna voce ufficiale conferma o smentisce che gli investigatori dell’Arma siano propensi a ritenere che la pista da seguire sia proprio quella che porta all’omicidio di ‘ndrangheta piuttosto che a quella della vendetta trasversale. La sola dichiarazione ufficiale che si coglie è che «a giorni verrà fatto il punto con i magistrati anche per valutare se
l’indagine dovrà passare alle competenze della Dda». Anche per questo la vita del
ristoratore viene passata almicroscopio. Grande attenzione verrebbe posta non solo sulla circostanza che Luciano Criseo già in passato sia stato controllato
dalle Forze dell’Ordine, ma anche sul fatto di aver ricevuto la pesantissima accusa (dalla quale Criseo usciva completamente assolto), di essere il “capo promotore ed organizzatore” del clan ‘ndranghetistico che operava a Brancaleone per condizionarne la vita economica-sociale ed amministrativa, nell’ambito della cosiddetta operazione “Vascello” condotta dalla Dda di Reggio Calabria contro una aggregazione di clan ‘ndranghetistici coordinati dal boss di Africo, Giuseppe Morabito alias “u Tiradrittu”. L’obiettivo è di verificare se Criseo, dopo l’operazione “Vascello”, conclusasi per lui positivamente, avesse continuato a
mantenere rapporti con gli ambienti ‘ndranghetistici della provincia reggina e di
che genere fossero quei rapporti, nell’ipotesi che le frequentazioni siano continuate. Non a caso viene sottolineato che Luciano Criseo oltre ad avere parentele “pesanti” come quella dei fratelli Claudio e Francesco Panzera divenuti,da ex colonnelli di ‘ndrangheta, collaboratori di Giustizia, aveva anche un “comparaggio” col capo delle cosche africensi, l’ex primula rossa della latitanza Giuseppe Morabito alias “u tiradrittu”.
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