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di MICHELE ALBANESE
Quello delle persone scomparse all’istituto Papa Giovanni di Serra D’Aiello, nel Cosentino – la struttura che ospita malati psichiatrici, disabili e anziani, da anni al centro di vertenze e scandali – è un mistero tra i misteri di questa casa di cura che con le sue vicende recenti e passate sta riempiendo le cronache calabresi. Un giallo apparentemente impenetrabile, visto che comincia in qualche modo a mostrare qualche crepa. E’ il Procuratore di Paola Bruno Giordano a confermare un dato agghiacciante: «Dal Papa Giovanni negli ultimi dieci o dodici anni – ha detto al Quotidiano Giordano – i degenti scomparsi sono almeno 13, l’ultimo l’anno scorso».
Equesti casi costituiscono uno dei tanti filoni sui quali la Procura paolana sta indagando e che potrebbe offrire risultati indubbiamente interessanti.
«Voglio ricordare che quando la Procura ordinò un’irruzione notturna nell’istituto le forze dell’ordine trovarono a lavoro solo tre addetti – ha precisato Giordano – e ciò dette l’idea di come veniva gestita la casa di cura che ospitava centinaia di persone». Insomma era estremamente facile che qualcuno, eludendo i controlli, si allontanasse dall’istituto. La Procura non elenca i nomi degli scomparsi, limitandosi a dire che tra essi vi erano persone di quasi tutte le età. Il dato, ora ufficiale, fa tremare le vene ai polsi. Ma come è possibile che ciò sia potuto accadere senza che nessuno sentisse il peso di una drammatica realtà come questa e delle famiglie degli scomparsi? Del resto le vicende note che hanno coinvolto la precedente amministrazione della clinica non lasciano dubbi sull’allegra gestione del Papa Giovanni.
A CASA DI UNA DELLE FAMIGLIE COINVOLTE NEL GIALLO
Siamo andati a trovare una di queste famiglie segnate dalla scomparsa di un congiunto ricoverato al Papa Giovanni. Si chiamava Domenico Antonio Pino, aveva 29 anni, originario di Anoia, piccolo centro della Piana di Gioia Tauro.
«Ci telefonarono – dice Pietro Pino, fratello di Domenico Antonio – due giorni dopo la sua scomparsa, avvenuta il 5 giugno del 1991 e noi corremmo subito a Serra D’Aiello. Nessuno seppe dirci come sia potuto accedere che un degente dell’istituto che tra l’altro si muoveva con difficoltà per via della sua malattia, potesse allontanarsi sparendo nel nulla. Ci dissero che forse si era allontanato volontariamente e speravano che potesse ritornare. Ma così non fu. Ci siamo rivolti ai Carabinieri, partirono le indagini e le ricerche anche con unità cinofile e un elicottero. Furono passati al setaccio i casolari di campagna e anche i paesi vicini ma niente. Da allora non sappiamo più nulla».
La vicenda personale di Domenico Antonio Pino viene segnata da un meningite che il piccolo contrasse ad appena 20 mesi. La malattia lo segnò per tutta la vita provocando lesioni cerebrali. Da quel momento i genitori girarono vari centri in Italia sperando di poter guarire il piccolo. Che venne ricoverato per 5 o 6 anni in un centro a Troja in provincia di Enna in Sicilia fino all’età adolescenziale. Poi grazie allamediazione dell’Asl di Messina alla famiglia Pino venne consigliato di rivolgersi al Papa Giovanni. «Fu una scelta quasi obbligata – racconta ancora il fratello Pietro – perché in casa i miei genitori dovevano badare un’altra sorella non autosufficiente per problemi neurologici». Domenico Antonio venne ricoverato nel 1991 e quasi tutti i mesi i suoi parenti andavano a trovarlo.
Poi almeno tre quattro volte all’anno tornava a casa, durante le feste principali, e in estate. «Quando andavamo all’istituto per fargli visita lo incontravamo nell’atrio, mai siamo entrati dentro e mai ci eravamo accorti di come venivano gestiti gli ammalati e le condizioni reali e drammatiche di quella struttura. Solo dopo abbiamo saputo, siamo rimasti di stucco. Ma mio fratello era già scomparso». Il volto di Pietro Pino si contorce per il disgusto di quanto emerse successivamente alla scomparsa del fratello, e il rimorso è grande.
«Avessimo saputodi quel lager saremmo andati a prenderci Domenico, e se ciò fosse accaduto lui sarebbe ancora con noi». Poi torna a raccontare della scomparsa: «Chiamammo anche “Chi l’ha Visto”, ritornammo dai Carabinieri, ma senza riuscire a sapere nulla. Ricordo che un ammalato che si era affezionato a noi ci raccontò che la sera della scomparsa una macchina si fermò davanti al cancello dell’istituto. Noi andammo a riferire il racconto al direttore sanitario, ci disse però di non tenere conto delle dichiarazioni di quell’uomo perché non era capace di intendere e di volere».
Di fronte alla domanda se si è fatto un’idea di cosa sia potuto succedere, Pietronon ha dubbi: «La nostra convinzione resta quella che all’interno dell’istituto sia potuto accadere qualcosa, forse un incidente, forse qualche dose massiccia di farmaci. Ipotizzammo anche un possibile traffico d’organi e ne parlammo con gli inquirenti anche perché mio fratello cheera alto 1 e 80 e pesava quasi 90 chili, fisicamente stava benissimo. Per questo non riusciamo a spiegarci come sia stato possibile che egli possa essersi allontanato da solo senza che nessuno si accorgesse di nulla».
La ricostruzionedi questo dramma, che riapre vecchie ferite nella famiglia Pino, si conclude con un ennesimo appello, forse l’ultimo: «Dopo tanti anni – dice tra le lacrime Pietro – se c’è qualcuno che sa qualcosa parli e ci aiuti anche in forma anonima a trovare quantomeno il corpo di questo giovane sfortunato. Almeno potremmo mettere un fiore sulla sua tomba».
Nella foto Pietro Pino, mostra la foto del fratello scomparso
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