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di ROMANO PITARO
Che fine ha fatto il sindacato calabrese? Vanno in tilt le comunicazioni su strada, per mare, ferroviarie ed aree. In beve: il sistema-Calabria è stressato.
Frattanto, l’amministratore delegato di Trenitalia, Mauro Moretti, ipotizza due ferrovie per due Italie. La proposta non è solo deplorevole. Infatti, nel concepire un’Italia gaudente su cui puntare risorse e un’Italia stracciona da mollare al suo cupo destino, l’idea di Moretti tradisce una visione duale del Paese da fare invidia al federalismo più esasperato. Il dottor Moretti traccia due scenari per un solo Paese: uno in cui i treni corrono e sono confortevoli; l’altro in cui le carrozze sono fatiscenti e prevalgono i disservizi. Un’Italia ferroviaria sempre più fulgida e un’Italia in cui i collegamenti ferroviari da città a città sono proibitivi. Come dire: gli italiani sono uguali, ma chi vive nel Centronord è più uguale. Mai come oggi le ferrovie assurgono a specchio del “gap” profondo tra Nord e Sud. Mentre in Europa la Germania e la Spagna, anzitutto migliorando le comunicazioni, colmano i dislivelli tra Nord e Sud, per Moretti l’Italia dovrebbe spezzarsi. Ci si preoccupa di arginare i rischi del federalismo fiscale e non si presta attenzione alla mission delle Fs che punta a tagliare in due il Paese. Allora: dov’è il sindacato? Ieri l’altro l’abbiamo visto alle prese con lo sciopero nei trasporti. In un settore che sintetizza la crisi acuta di una regione divenuta “l’isola nuova del Mediterraneo”. Quello sciopero, però, dopo tante polemiche, non ha sconvolto i pensieri di nessuno. Perché ciò che manca è la frustata del sindacato confederale. Oggi le ragioni per uno sciopero generale ci sono tutte. Mentre in Europa il treno sorpassa l’aereo per confort e convenienza, in Calabria s’insiste nell’erogare servizi di bassa qualità. Dopo la dura reazione della Regione, il rumore fatto fin qui dal sindacato è poco. Avrebbe dovuto, partendo dal grave deficit di infrastrutture che penalizza la Calabria, entusiasmare ogni fibra delle sue molte articolazioni e indurre Bonanni a concludere una massiccia manifestazione per rappresentare al Paese l’insostenibile abbandono di una regione che evidenzia i tratti di un sistema sociale in pericoloso declino. Autostrada colabrodo, ferrovia antiquata, strade pericolose come la “106” e incompiute storiche come la Trasversale delle Serre. Dinanzi a questi macroscopici impedimenti, chiedersi se il sindacato ha una piattaforma per lo sviluppo della Calabria, non è peregrino.
Negli ultimi tempi, il sindacato calabrese ha dialogato con la società meglio della politica. Ha organizzato, con successo, due scioperi generali.
Uno il 28 aprile del 2004 contro il centrodestra e concluso da Pezzotta, che l’ha definito “il più grande sciopero regionale”. L’altro contro il centrosinistra, il 18 giugno 2007; Epifani a Catanzaro ha richiamato la politica alle sue responsabilità. Il primo ha contribuito a dare una spallata ai cinque anni di centrodestra. Il presidente Chiaravalloti del sindacato non ha mai voluto saperne. Sbagliata o meno, quell’impostazione di sicuro non è servita alla Regione per presentarsi più forte, al cospetto del Governo, ed ottenere i provvedimenti straordinari per recuperare i ritardi nel processo di modernizzazione infrastrutturale che oggi esplodono con virulenza. L’altro sciopero è stato un gesto coraggioso: scendere in piazza contro il centrodestra è un conto, farlo contro il centrosinistra, strategicamente suo alleato, è stato più arduo.
Dal 2007 in avanti però, benché ogni indicatore economico sia peggiorato, il sindacato tace. Eppure, con la politica in difficoltà e i tagli ai finanziamenti per il Mezzogiorno, chi più del sindacato potrebbe farsi interprete del disagio sociale? Non solo in difesa del poco che alla Calabria è rimasto, ma nella prospettiva di capire se la crisi mondiale consenta qualche opportunità di riscatto. Sui temi del lavoro e dello sviluppo, gli archivi sono ricchi di memorabili eventi sindacali e di un suo attivismo propositivo che è servito, anche quando è stato sconfitto, a dare linfa vitale alla Calabria. Perciò è urgente che il sindacato batta un colpo. Non può far credere che s’accontenti di esaurire la sua funzione nel magma d’iniziative empiriche che, qua e là, cavalca. Se è in discussione la sopravvivenza dignitosa di una regione, la sfida da lanciare non può che essere alta.
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