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di NUCCIO FAVA
La TV italiana ci obbliga troppo spesso a orribili visioni, talkshow semidemenziali che sarebbe meglio sospendere almeno per qualche tempo per offrire a tutti l’occasione di riflettere, di riprendere fiato e di operare una qualche ecologia della mente. Con il risultato tra latro di contenere l’eccesso di protagonismo di chi, utilizzando il video, si ritiene importante e decisivo “a prescindere”, come diceva Totò.
Non vale far nomi, né richiamare la frequente assenza di contenuti e ragionamenti. Nella TV che ci tocca subire, conta soprattutto l’apparire, l’esserci comunque. Il vuoto pneumatico cui ricorre frequentemente lo stesso Antonio Ricci, con la ripetuta scansione che vede irrompere le gaie Veline all’interno di Striscia la Notizia non rappresentano un mero divertimento.
Al contrario denuncia l’insulsaggine e il condizionamento, addirittura inconsapevole, cui vanno incontro i telegiornali non solo di Emilio Fede. C’è una sorta di etero direzione, di “manovratore esterno” che condiziona addirittura la scelta degli autori dei servizi “cuciti su misura” per questo o a quel partito.
Analogo trattamento è riservato al presidente del Consiglio, ai ministri in trasferta, alle riunioni di partito. Basta del resto incappare nelle così dette note politiche dei TG e nelle povere battute degli esponenti di maggioranza e opposizione per constatare quanto sia ormai perverso un meccanismo preoccupato di dare visibilità, piuttosto che contribuire a far comprendere la posta in gioco e le ragioni delle differenti posizioni.
Le Veline del resto sarcasticamente riproposte da Ricci richiamano la famosa velina del Minculpop che, negli anni del fascismo, indicava quali notizie amplificare e quali ignorare.
Fortunatamente il fascismo è lontano ma la tentazione di condizionare l’informazione e tenere il fiato sul collo di direttori e giornalisti non è mai scomparsa del tutto. Situazione preoccupante, accresciuta dai legittimi timori che una nuova e più equilibrata legislazione contro l’uso smodato delle intercettazioni possa provocare un pericoloso restringimento della libertà di stampa.
Ma mentre per Striscia e per il TG di Fede, risulta chiaro a tutti di che si tratta, per i più titolati salotti TV l’ambiguità è quasi strutturale, sin dal dosaggio nella composizione dei partecipanti, dai servizi preconfezionati che spesso interrompono quel tanto di confronto e di pluralismo lottizzato che faticosamente potrebbe emergere.
Peccato, veramente peccato, ovviamente tutt’altro che veniale. E tutto sulla pelle del telespettatore.
L’altra sera ad esempio l’onorevole Franceschini ha avuto l’onere di una ospitata in prima serata da Fazio.
E’ prevalso un tono ambiguamente cordiale e salottiero, che non ha certo favorito un chiarimento ed una spiegazione plausibile del perché il vice fosse stato chiamato a sostituire il titolare; delle ragioni che avevano provocato le improvvise dimissioni di Veltroni ; e dunque perché mai dove aveva fallito il numero uno avrebbe dovuto far bene e meglio il suo secondo. Una occasione mancata mentre si sarebbe dovuto al contrario contribuire a far cogliere le ragioni della profonda crisi che travaglia il principale partito dell’opposizione.
Un singolo esempio, forse neppure particolarmente significativo.
Sufficiente tuttavia a far cogliere l’ambiguità e l’assurdo di una televisione che finisce per essere di ostacolo all’approfondimento e alla comprensione delle questioni che sono in gioco.
Il vecchi Karl Popper, il famoso teorico della società aperta, metteva in guardia molti anni fa dai rischi di una TV “cattiva maestra”, mentre il nostro Pasolini già nei primi anni Settanta ammoniva sui rischi della “omologazione e della mercificazione”. Gli anni trascorsi sono ormai tanti eppure la situazione è addirittura per molti versi divenuta – sotto ogni profilo – ancora più insidiosa e preoccupante.

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