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La Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, nelle persone dei pubblici ministeri Raffaella Sforza, Claudio Curreli e Francesco Minisci, ha chiuso le indagini di “Anaconda”, l’inchiesta antimafia concentrata sul clan Cicero di Cosenza. Trentaquattro in tutto gli indagati, tra cui il presunto boss in persona Domenico Cicero, il figlio Osvaldo, la moglie Adele Nappo, il fratello Francesco, il presunto braccio destro Riccardo Greco, tuttora recluso in Spagna per rapina, e le giovanissime figlie di quest’ultimo, Vanessa e Katia, accusate di curare gli affari del padre.
I primi avvisi sono stati notificati ai diretti interessati nella giornata di ieri dai carabinieri di Cosenza. I restanti saranno consegnati agli indagati nella giornata odierna.
L’accusa base resta quella di associazione di stampo mafioso, omicidio, usura, estorsione, detenzione illegale di armi, spaccio di sostanze stupefacenti, riciclaggio e truffa. L’omicidio in questione è quello del cosentino Angelo Cerminara, del
quale non si hanno notizie dal 4 ottobre del 2006.
La Dda ha sostenuto che il clan Cicero fosse una sorta di banca alternativa, con una grande disponibilità di liquidi, ai quali attingevano diversi commercianti e imprenditori cosentini, poi lentamente prosciugati e stritolati, proprio come se fossero vittima di un’anaconda. Un clan capace di guardare anche oltre i confini cosentini, puntando le sue attività finanche in Spagna, dove avrebbe intessuto proficui rapporti con la locale criminalità.
I trentaquattro indagati hanno ora i classici venti giorni di tempo per presentare memorie difensive o chiedere di essere interrogati dai magistrati.

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