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di ANTONIO ANASTASI
Non c’è due senza tre. Non è una battuta ma si tratta di una drammatica realtà. Il terzo collaboratore di giustizia a finire nel mirino della strategia intimidatoria forse decisa dai pochi capibastone rimasti latitanti è Vincenzo Marino. O, meglio, i suoi familiari. Sconosciuti l’altra sera hanno sparato alcuni colpi d’arma da fuoco contro l’auto Renault di un suo zio, guardia giurata, parcheggiata sotto casa. Nonostante l’intensificazione dei servizi di vigilanza volti a tutelare i parenti dei pentiti di mafia, intensificazione dei servizi successiva agli episodi intimidatori rivolti contro Luigi Bonaventura e Domenico Bumbaca, le nuove leve dei clan tornano in azione con la consueta audacia. Secondo un modus operandi collaudatissimo. Che sia in atto una strategia intimidatoria contro i collaboratori di giustizia, al fine di indurli a ritrattare nei processi in corso, gli inquirenti ne sono certi.
I precedenti non mancano. Andiamo a ritroso nel tempo. A cominciare dalla notte del 12 gennaio scorso, quando sconosciuti hanno versato del liquido infiammabile in un vano scala all’interno di uno stabile in via Mastracchi dove è andato a fuoco l’appartamento in cui vivono i genitori di Domenico Bumbaca. E’ uno dei pentiti gestiti dal pm Antimafia Pierpaolo Bruni e dagli esperti agenti della Squadra Mobile diretta dal vicequestore Angelo Morabito.
Per salvare i coniugi i vigili del fuoco utilizzarono un cestello che s’è arrampicato fino al quarto piano dell’immobile prelevando marito e moglie e scongiurando il pericolo di intossicazione per i due, che non hanno accettato di sottoporsi al programma di protezionedopo il pentimento del figlio.
Nel primo weekend dell’anno i soliti ignoti avevano incendiato il ristorante Le tre caravelle, sul lungomare, il cui proprietario è Bonaventura, che, nonostante il suo status, percepisce degli introiti essendo stata affidata la gestione a terzi. I danni arrecati al locale ammontano a 90mila euro. Dopo l’incendio di casa Bumbaca, i picciotti si sono rimessi all’opera sparando alcuni colpi contro l’abitazione di un parente dello stesso collaboratore di giustizia.
Dei tre pentiti di spicco su cui s’incentrano le inchieste che hanno decapitato il clan Vrenna Bonaventura Corigliano con le recenti operazioni Herakles e Perseus mancava solo Marino. Gli inquirenti un po’ se l’aspettavano e avevano intensificato la tutela per i familiari del collaborante. Tra qualche settimana riprende il maxiprocesso Tramontana, nel corso del quale lo stesso Marino è stato sentito, facendo rivelazioni anche sugli appetiti dei clan per un parco eolico e l’intimidazione al presidente della Provincia, Sergio Iritale, dell’ottobre 2006. Nell’ambito delle nuove inchieste Marino è uno di quelli che ha svelato le pesanti infiltrazioni delle cosche nella vita politica e istituzionale e l’interesse del clan dei Papaniciari per il progetto Europaradiso. E’ considerato un elemento di spicco della cosca crotonese.
Nel processo Limen-Tramontana ha patteggiato cinque anni in Appello per narcotraffico nel luglio 2006 (a fronte dei sei anni del marzo 2005).
Sei anni per estorsione gli sono stati inflitti un anno fa nell’ambito dell’inchiesta sul pizzo imposto ad alcuni ristoratori crotonesi. Nell’aprile 2008, quasi un’ironia della sorte, fu condannato a un anno per minacce alla moglie di un altro pentito al fine di imporgli la ritrattazione. Tra il settembre e l’ottobre 2003, infatti, avrebbe mostrato alla donna, in tre distinte circostanze, una pistola, dicendole che qualora suo marito avesse ripreso a collaborare con la giustizia vi sarebbero state conseguenze gravi per l’incolumità della donna e dei suoi familiari.

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