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Lo hanno bloccato con un’operazione fulminea mentre, insieme a due fiancheggiatori, passeggiava per le vie del quartiere Montesacro di Roma.
È finita così la latitanza di Candeloro Parrello, di 53 anni, latitante da 10 anni, considerato elemento di spicco dell’omonima cosca operante a Palmi e referente della ‘ndrangheta con i cartelli colombiani dei produttori di droga. A mettergli le manette ai polsi, al termine di un’indagine coordinata dalla Dda di Reggio Calabria, sono stati i carabinieri del Ros di Reggio e di Roma, che da mesi stavano sulle sue tracce seguendo due favoreggiatori.
Quando i militari hanno visto i due incontrarsi con Parrello sono entrati in azione. «Sono Parrello, non sparate» ha detto il latitante quando si è visto circondato. L’uomo era ricercato per alcuni provvedimenti restrittivi emessi, tra gli altri, dal Gip di Palmi, dalla Dda di Reggio Calabria e dal Gip di Reggio. Associazione mafiosa e traffico internazionale di droga le accuse contestate a Candeloro Parrello, figlio di Gaetano, il capo clan assassinato in un agguato a Palmi nel settembre 1986. L’omicidio del capomafia fu messo in relazione all’aggressione subita dallo stesso Candeloro alcuni mesi prima e nella quale l’uomo rimase sfregiato.
Candeloro Parrello era ricercato anche per una condanna a 18 anni di reclusione per traffico internazionale di droga inflittagli dalla Corte d’appello di Roma al termine dell’inchiesta del Ros denominata Ibisco. Nell’ambito della stessa inchiesta, i carabinieri avevano sequestrato beni mobili ed immobili per un valore complessivo di 15 milioni di euro. Dalle indagini era emerso il ruolo di vertice assunto da Parrello all’interno di una struttura di matrice ‘ndranghetista radicata a Roma e capace di movimentare ingenti quantitativi di droga tra il Sud America e l’Europa, attraverso l’Africa, reinvestendo i proventi in ulteriori attività di narcotraffico o in complesse operazioni finanziarie ed immobiliari.
L’organizzazione poteva contare anche su contatti in Spagna. E proprio dalla Spagna, utilizzando la struttura logistica e le conoscenze del gruppo di Parrello nel campo nautico (equipaggi di fiducia, meccanici per la riparazione dei natanti), un altro broker internazionale, Roberto Pannunzi, aveva rifornito per anni di cocaina le principali organizzazioni mafiose italiane, calabresi e siciliane. Secondo il Ros, Parrello aveva una straordinaria capacità di rapportarsi con i cartelli colombiani comprese le organizzazioni di narcoterrorismo. Il modello organizzativo di Parrello prevedeva la compartecipazione di più cosche calabresi all’importazione di droga, la distribuzione non solo in Italia dello stupefacente, il riciclaggio ed il reimpiego dei proventi e l’interazione con le principali organizzazioni mondiali del settore. Le indagini del Ros avevano anche consentito di ricostruire i flussi intercontinentali della droga che, dal Venezuela, attraverso il Marocco o le Isole di Capo Verde, giungeva in Spagna, per essere in parte destinata ad organizzazioni legate a cosa nostra e alla ‘ndrangheta ed in parte distribuita sul mercato romano da gruppi locali collegati. Nel corso dell’inchiesta sono state sequestrate, complessivamente una ventina di tonnellate di droga di vario tipo. Il gruppo di Parrello, secondo l’accusa, aveva raggiunto il più alto livello del narcotraffico mondiale riuscendo a stabilire contatti privilegiati con i principali cartelli fornitori.

(Fonte: ANSA)

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