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Sarebbe stato il consigliere regionale Domenico Crea «il referente della borghesia mafiosa, quella zona grigia che si accaparra finanziamenti illeciti». A dirlo è stato il pm al processo per l’omicidio di Francesco Fortugno, Marco Colamonaci. «A suo sostegno – ha aggiunto il pm – fu creato uno dei più potenti cartelli politico-mafiosi della fascia ionica reggina al quale hanno preso parte le principali cosche ed in particolare quelle di Melito Porto Salvo, Africo e Locri».
Crea, che non è imputato nel processo, era subentrato a Fortugno dopo la sua morte come primo dei non eletti della Margherita. Successivamente ha cambiato partito e dal gennaio scorso è detenuto con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa nell’ambito di un’inchiesta su presunte infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore della sanità.
«Il risultato alle elezioni regionali del 2005 di Fortugno, principale competitore di Crea – ha detto il pm – creò non pochi problemi alla cosiddetta squadra, espressione questa usata più volte dal figlio di Crea, Antonio». Il pm ha poi sostenuto che villa Anya, di proprietà di Crea, «era un serbatoio di consensi e stranamente la convenzione con la clinica, per molti mesi al centro della discussione in Consiglio regionale, è stata approvata tre giorni dopo l’omicidio Fortugno». «Il pericolo dell’exploit di Fortugno – ha aggiunto Colamonaci – era stato tra l’altro evidenziato telefonicamente addirittura dal sottosegretario ed esponente di spicco della Margherita Luigi Meduri che in una telefonata, intercettata, a Crea dice: “se vince Fortugno ti distrugge la clinica”.
Con l’omicidio del vice presidente del Consiglio regionale della Calabria, dunque, «si era deciso di eliminare un uomo tenace nelle sue idee in tema di sanità e poco propenso o incline ad assoggettarsi a sistema deviato». A dirlo è stato sempre il pm Marco Colamonaci, iniziando davanti ai giudici della Corte d’assise di Locri, la requisitoria del processo contro presunti mandanti ed esecutori del delitto. «L’omicidio Fortugno – ha aggiunto Colamonaci – etichettato sin da subito come omicidio politico-mafioso, è stato uno dei più gravi fatti di sangue commessi in Italia negli ultimi anni. Una gravità emersa non solo per la carica politica ricoperta dalla vittima ma per la platealità dell’agguato, compiuto in pieno centro a Locri, di domenica, di giorno e durante le primarie dell’Unione».
Per l’omicidio di Fortugno sono imputati Salvatore Ritorto, Domenico Audino e Alessandro e Giuseppe Marcianò, padre e figlio. Di associazione per delinquere di tipo mafioso, nello stesso procedimento, sono accusati, invece, Vincenzo Cordì, Antonio e Carmelo Dessì e Alessio Scali.
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