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A meno di un anno da quando scattò l’operazione «Uova di drago», diretta dall’Arma dei carabinieri contro il clan dei Bonavota, operante nel vibonese, 19 persone accusate di associazione mafiosa sono comparse oggi, a Catanzaro, davanti al presidente dei giudici dell’udienza preliminare distrettuali, Gabriella Reijllo. Il gup è chiamata a pronunciarsi sulla richiesta di rinvio a giudizio presentata dal sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia titolare dell’inchiesta, Marisa Manzini, nei confronti di 34enne Pasquale Bonavota, cui viene attribuita la direzione dell’organizzazione in seguito alla morte del padre, il boss Vincenzo Bonavota; Domenico Bonavota e Nicola Bonavota, fratelli di Pasquale; Francesco Fortuna, Carlo Pezzo, Onofrio Barbieri, Vincenzino Fruci, Rocco Anello, Antonio Patania, Francesco Michienzi (collaboratore di giustizia), Antonio Lopreiato, Pasquale Pititto, Giuseppe Prostamo, Rosario Cugliari, Antonio Serratore, Bruno Di Leo, Roberto Ceraso, Maria Fortuna, Filippo Trimboli. Una richiesta, quella di mandare tutti sotto processo, che oggi il magistrato antimafia ha ribadito in aula, dopo aver ripercorso le tappe di un’indagine culminata nel blitz del 2007, e prima del rinvio a giorno 20, quando la parola passerà ai difensori.
L’operazione «Uova di Drago» venne portata a termine all’alba del 30 ottobre scorso. Un nome in codice che – per spiegare la pericolosità del clan Bonavota – si rifà a una leggenda della letteratura celtica secondo la quale le uova di alcune creature fantastiche avevano la capacità di riprodursi autonomamente. Gli investigatori hanno voluto così rappresentare le «nuove leve» del clan vibonese che negli ultimi anni avevano assunto una crescente autonomia. Non a caso – fu spiegato dagli inquirenti – i Bonavota avevano via via esteso il proprio potere in tutta la regione arrivando a competere con le maggiori consorterie criminali, ed a creare solide propaggini a Roma e Torino e zone limitrofe. Quella dei Bonavota è stata descritta come una cosca in continua espansione che, grazie al basso profilo tenuto negli ultimi anni, era riuscita a stringere forti alleanze con i gruppi limitrofi, dagli Anello di Filadelfia, ai Lo Bianco di Vibo fino ai potentissimi Mancuso di Limbadi, ponendosi con queste storiche consorterie su un piano di parità.

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