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di ROCCO SICOLI*
L’estate sta finendo, o forse come possono confermare gli esperti di turismo è già finita per la Calabria di quest’anno, per i tour operator, per le strutture ricettive, per i commercianti e per il nostro patrimonio artistico. Le prenotazioni, quelle che fanno economia, e bastano pochi mesi di lavoro all’interno di un tour operator per capirlo, si fanno al massimo ad aprile, concedendo maggio ai ritardatari. Quindi, arrivare a giugno con gli alberghi vuoti, o comunque con un numero di presenze in forte calo su tutto il territorio regionale, vuol dire che la stagione turistica attuale è fallita. Caminiti (Presidente) di FederAlberghi ha più volte sottolineato: bisogna aprire un tavolo per il turismo e fare una programmazione almeno a 5 anni, perché il turismo fatto bene, come ogni impresa che si rispetti, ha bisogno di un piano quinquennale quanto meno, dove si mettano sul tavolo investimenti, risorse, ma soprattutto gli obiettivi che si vogliono raggiungere e il target turistico che bisogna “attaccare”. Anche Puglia e Sicilia sentono la crisi, d’altronde come potrebbe essere altrimenti, visto il panorama desolante a livello economico e finanziario di tante famiglie italiane ed europee, ma non fanno registrare il tracollo segnalato in Calabria. E come dimostrano anche le parole del sottosegretario all’economia, Antonio Gentile il problema è di attrattività, di comunicazione. Insomma, la Calabria non riesce a conquistare il grande pubblico, non “arriva”, pur avendo immense risorse ambientali e culturali, e questo dovrebbe far riflettere, rovesciando tutto l’impianto turistico/promozionale attuale, per cominciare una partita tutta nuova con nuovi attori, nuove idee e nuovi (e migliori) risultati. D’altronde il rapporto di FederAlberghi che tanto clamore ha suscitato, non fa altro che mettere nero su bianco quello che si vede nelle nostre realtà. Da Amantea a Soverato, passando per località del crotonese e del reggino, la desolazione dei centri urbani, le strutture semivuote, i luoghi d’arte silenziosi come nella più cupa giornata invernale, le facce dei commercianti e persino dei baristi danno la dimensione della paura (ormai certezza, inaccettabile) del fallimento turistico della stagione 2011. Ma era prevedibile questa situazione? Paradossalmente verrebbe da dire di sì. Non vi sono mai stati interventi strutturali volti a tutelare e valorizzare il nostro patrimonio, né tanto meno per rendere il turismo una vera e propria industria con una propria filiera e una propria “rete sociale”; tutto è stato lasciato alla buona volontà dei singoli imprenditori, e soprattutto, all’amore per la propria terra dei “calabresi di ritorno”, che tradizionalmente rianimano i centri calabresi trascorrendovi le proprie ferie e portando anche un impulso economico all’economia locale. E che negli anni hanno coperto, la mancanza del vero turismo, quello “degli stranieri” e dei visitatori, ben diverso da quello degli indigeni costretti all’emigrazione. Peccato che anche tutto ciò stia svanendo sotto il peso della crisi, ma soprattutto per il passaggio da una classe all’altra. Infatti, i padri e le madri calabresi degli anni ’80, stanno lasciando spazio ai propri figli 30enni e 40enni, molti dei quali giovani professionisti affermati, che non hanno quella “passione sfrenata” per la propria terra in grado di far mandar giù la Salerno-Reggio, un ambiente violentato, beni culturali lasciati perire e strutture carenti, non tanto nell’edilizia e nei servizi, quanto nel personale poco formato, poco avvezzo alla gentilezza e alle lingue straniere. E così, anche loro ripudiano le vacanze in Calabria, dove per un giorno di relax, bisogna pagare dazio e far finta di non vedere molte cose; ed optano per mete più tranquille ed attrattive. Forse bisogna ripartire da questa punizione della seconda generazione di calabresi al nord, per comprendere che dobbiamo invertire la rotta e riportare a galla questo meraviglioso Nautilus chiamato Calabria, prima che si incagli in un abisso da cui sarà poi impossibile tirarlo fuori. Dovremmo, fare atto di umiltà tutti e chiedere innanzitutto a loro: “Perché non tornate in Calabria?”. Bisogna ripartire, chiamando attorno ad un tavolo le migliori professionalità della nostra Regione, e di quelle regioni che del turismo hanno fatto industria stabile e duratura nel corso dell’anno. Bisogna dare spazio ai creativi, quelli veri, per trovare nuove strade di comunicare la Calabria e la calabresità nel terzo millennio, sui nuovi media e con i nuovi media. Dobbiamo creare un immaginario attraente della nostra terra, che oggi purtroppo non esiste. Bisogna riconoscere le eccellenze e rivalutarle, in maniera saggia, perché qui è nata la civiltà, non il qualunquismo, qui c’è la cultura non l’irriverente dismissione di essa. Presidente Scopelliti “occupi” di nuovo il Centro Agroalimentare di Lamezia, come ha fatto il 26 marzo per la sua Next. Ma questa volta metta assieme le esperienze e le professionalità della Calabria migliore, sieda in prima fila e le lasci parlare e confrontarsi. Sicuramente, da una giornata di serio confronto tra i diversi attori della Regione, il nostro turismo potrà ripartire. E se questa convocazione non dovesse arrivare dalle istituzioni, perché gli stessi operatori di tutti i settori coinvolti nel turismo, dagli albergatori ai commercianti, passando per le associazioni culturali e gli esperti di comunicazione e promozione, non si autoconvocano (magari con il patrocinio di un comune o di un ente che metta a disposizione più sale per la discussione); sicuramente da questo mix di competenze potrebbe nascere una proposta strategica concreta e legata al territorio da sottoporre alle istituzioni.
*Associazione “Io resto in Calabria”
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