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Era detenuto da 12 anni al 41 bis dopo la latitanza durata quattro anni, Ettore Lanzino, boss di Cosenza, è morto per un infarto. Aveva da tempo problemi cardiaci


ETTORE Lanzino, 69 anni, boss della ‘ndrangheta cosentina è morto ieri mattina in carcere a Parma. Lanzino era detenuto in regime di 41 bis dopo la condanna definitiva emessa al termine del processo “Terminator”.
Lanzino, secondo quanto riferito da uno dei suoi legali, l’avvocato Marcello Manna, era cardiopatico e aveva avuto un infarto alcuni anni fa quando si trovava nel carcere di Sassari. A seguito di quel malore i legali avevano chiesto la sospensione della pena, ma ottennero il trasferimento a Parma, struttura carceraria ritenuta adeguata alle cure. Ieri mattina Ettore Lanzino è deceduto presumibilmente a causa di un altro infarto. «Abbiamo chiesto copia della cartella clinica e appena avremo riscontro sapremo cosa è successo» ha riferito l’avvocato Manna. Intanto, secondo quanto si apprende, i familiari hanno raggiunto Parma per portare la salma a Cosenza dove saranno celebrati i funerali.

Condannato all’ergastolo con sentenza definitiva per gli omicidi di Francesco Bruni, Vittorio Marchio e Marcello Calvano e a trent’anni per la uccisione di Enzo Pelazza. Il nome di Lanzino era comparso anche nell’ultima inchiesta della Dda “Reset” sugli affari nel Comune di Rende e il cui processo è ancora in corso.
“Ettaruzzu”, come era chiamato nell’ambiente, è uno che ha attraversato per intero la storia criminale della città di Cosenza, scalandone i gradini uno per volta. Nato a Luzzi, i suoi primi passi nel mondo criminale li aveva mossi fra il quartiere dello Spirito Santo e via degli Stadi. Quelli per Ettore Lanzino sono gli anni dell’apprendistato all’ombra dei boss. La guerra di mafia degli anni ‘80 lo aveva visto militare nelle fila del gruppo Pino-Sena, impegnato in una guerra all’ultimo sangue con il clan rivale dei Perna-Pranno.

Quando i gruppi si erano sfaldati nella metà degli anni ‘90, tra pentimenti e dissociazioni conseguenti al maxiprocesso Garden, Lanzino aveva creato un suo gruppo che poi è diventato il più forte e il più articolato sul territorio con una serie di sottogruppi capeggiati da persone di elevato spessore criminale. E aveva continuato a tenere le fila e a interessarsi degli affari del suo clan anche durante la sua latitanza.
Il boss indiscusso e temuto della città dei bruzi, era stato beccato a Rende dopo quattro anni e due mesi di latitanza nel 2012.

Per nove mesi i carabinieri del Comando provinciale di Cosenza erano stati sulle sue tracce. Il boss di Cosenza si nascondeva in una mansarda, all’ottavo piano di un residence di Roges di Rende, a pochi passi dalla città capoluogo. Il suo nascondiglio era formato da una stanza con cucinino, tv, armadio, un divano letto e un piccolo bagno. Neanche cinquanta metri quadrati. I carabinieri avevano bussato alla sua porta e lui, ricercato da quattro anni e due mesi, si è fatto arrestare senza porre resistenza. «Prima o poi – aveva detto loro – doveva capitare».
“Ettaruzzu” capo indiscusso e temuto dell’omonima cosca, era considerato tra i 100 latitanti più pericolosi d’Italia. Il suo arresto era stato un duro colpo per la criminalità organizzata locale, che aveva perso un importante punto di riferimento.

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