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Il voto in Usa, in attesa dell’esito: Donald minaccia ricorsi già pronti in caso di sconfitta; Kamala è anonima ma l’unico collante anti Trump


Premessa. Nel giornalismo può essere difficile affermare: questa è la verità. A volte potrebbe addirittura essere pericoloso, nel caso di verità “rivelate” in religioni, ideologie e via predicando.
La ricerca della verità, invece, quella sì che non va mai abbandonata, esplicitando il proprio punto di vista di partenza. E, in tema di punti di vista, esplicitiamo quello di chi scrive sul voto di oggi (5 novembre 2024) negli Stati Uniti: endorsement, sostegno, lo chiamano lì.
Vi sono illustri e recentissimi precedenti. Il progressista New York Times ha confermato il sostegno a Kamala Harris perché un Donald Trump bis sarebbe «una minaccia per la democrazia». Il progressista Los Angeles Times ha invece scelto di non prendere posizione (rivolte in redazione); il suo editore è un miliardario della sanità, un imprenditore sudafricano-americano di origine cinese.
Soprattutto il grande Washington Post non ha preso posizione, come al contrario faceva dal 1976. Conseguenze: duecentomila abbonamenti disdetti, editorialisti dimissionari, giornalisti in subbuglio.

L’editore è Jeff Bezos, fondatore di Amazon e padrone di Blue Origin. Ha scritto, in sostanza: dare il sostegno è inutile perché ormai la gente non vota più seguendo quel che dicono i giornali, anzi, è controproducente, perché mina l’indipendenza della testata. Bezos ha litigato con il governo democratico uscente per questioni legate alla presenza sindacale in Amazon e tratterà col prossimo governo per le commesse spaziali di Blue Origin.
Senza fare paragoni improponibili (o meglio, ridicoli) il nostro endorsement è: vinca la migliore!

ULTIMI SONDAGGI E L’ARIA CHE TIRA

Come ormai accertato, i sondaggi non rivelano granché. Troppo incerta la lotta per il voto in Usa, troppo vicini i contendenti: Kamala Harris 60 anni, vicepresidente in carica, Donald Trump 78 anni, ex presidente dal 2016 al 2020. Se vince Trump si procede, se vince Harris (a meno che non stravinca, ed è improbabile) parte la giostra del complottismo.
Trump ha già fatto presentare ricorsi preventivi sulla regolarità del voto e ha da sempre dichiarato che esiste un solo esito possibile: vince lui. Se perde è perché i democratici hanno imbrogliato, e tutti ricordano l’assalto dei suoi seguaci al Campidoglio il 6 gennaio 2021 per sostenere una elezione rubata: non è stato mai dimostrato, sino ad allora e dopo di allora. In questo clima rilassato si va al voto (in un Paese affogato dalle armi) con alcuni seggi protetti da vetri antiproiettile e seggi più a rischio sorvegliati da cecchini della polizia sui tetti limitrofi.

La media degli ultimi sondaggi sul voto in Usa riportata dal sito Real Clear Politics: a livello nazionale, Donald Trump 48.5 per cento, Kamala Harris 48.4. Nei sette Stati in bilico, e decisivi: Trump 48.5, Harris 47.7; Kamala avanti solo in Michigan, Donald in Arizona, Georgia, Nevada, North Carolina, Pennsylvania e Wisconsin.

NON SOLO IL PRESIDENTE

Non si dimentichi che si vota anche per il rinnovo della Camera (come ogni due anni) e di un terzo del Senato. Il risultato è decisivo in una democrazia nella quale è vero che il Presidente ha diritto di veto, ma è un diritto limitato, che deve fare i conti con un bicameralismo quasi perfetto e con i rilevanti poteri del Senato, fra i quali l’approvazione di nomine di grande peso.
In questi ultimi due anni Biden ha dovuto fronteggiare una Camera a guida repubblicana e un Senato perennemente in bilico. Gli ultimi sondaggi danno 50 senatori su 100 già repubblicani, per pareggiare i democratici dovrebbero vincere 7 seggi, impresa assai ardua. Alla Camera, su un totale di 535 seggi, 201 rappresentanti andrebbero ai repubblicani, 192 a democratici, 42 appaiono in bilico.

TASSE

Musica per le orecchie degli elettori. Trump vuole tornare a ridurle per i ricchi e le grandi società, anche per i camerieri di bar e ristoranti, su questo ultimo punto Harris si allinea. La spesa pubblica sarà finanziata con un aumento del debito: oggi è al 120 per cento del Pil, percentuali italiane (noi siano al 134) del tutto ignote sinora in America. Prima o poi qualcuno presenterà un conto.

PROFILI

Donald è Donald. Promette repulisti di infedeli nella pubblica amministrazione non appena eletto e vuole mandare a casa 11 milioni di immigrati che lavorano da anni ma non sono del tutto in regola. Il sistema produttivo americano non saprebbe come sostituirli. Promette anche di eliminare regole e ciò alletta alcuni big della finanza. È un leader divisivo, volgare e provocatore. Molti lo votano perdonandolo, altri proprio per i suoi difetti.
Kamala difetta di leadership, su alcuni temi (sicurezza, ambiente) a volte oscilla, ma milita a suo favore la possibilità di essere votata non tanto per ciò che propone, quanto perché è un collante contro Trump.

PERSONAGGI

Li esibisce Donald Trump. Vuole assegnare un ruolo importante nella Sanità a Robert F. Kennedy Jr., nipote del Presidente, vergogna della sua famiglia e convinto antivax.
Vuole come ministro Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo. Musk è anche il principale fornitore della Nasa, è dentro i segreti spaziali dell’America. Peccato sia trapelato che parla regolarmente con Vladimir Putin. «Penso che sia preoccupante e che si debba indagare», ha dichiarato il capo della Nasa. Bill Nelson.
Musk finanzia e sostiene Trump, nei comizi congiunti sembra lui il candidato, gli basterebbe fare il ministro?

GUERRE ED EUROPA

Nessuno dei due abbandonerebbe Israele; i toni sarebbero però diversi, a Trump piace Netanyahu, Harris dovrebbe tenere in maggior conto le istanze palestinesi.
Kamala continuerebbe a sostenere Kiev (nei limiti del ragionevole), il Wall Street Journal ha scritto (non smentito) che secondo Donald si deve invece fotografare la situazione sul campo, che l’Ucraina non deve entrare nella Nato e che la sua ricostruzione deve avvenire a spese dell’Europa. Europa alla quale chiede a brutto muso di aumentare le spese militari e minaccia dazi commerciali. Harris non disdegna il protezionismo, ma continuerebbe in una politica di dialogo con il vecchio continente.

ANSIE

L’America vive momenti durissimi di scontro politico e culturale. Ma gli osservatori più sensibili notano come ciò non appaia esser percepito dalla gente comune.
Non tutta la gente è indifferente, alcuni tremano. Michelle LaVaughn Robinson (Obama) ha esortato: «Non possiamo indugiare sulle nostre ansie». Nemmeno noi.


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