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Il fenomeno del lavoro nero ormai è esteso anche alle regioni del Nord ed ha una presenza record, specie nel settore servizi alle persone


Il Nord è la patria del lavoro nero in Italia. Nel nostro Paese il volume d’affari ammonta a 68 miliardi di euro. Il valore aggiunto dal lavoro irregolare è pari al 29,7 miliardi (17,3 nel Nordovest e 12,4 nel Nordest), 23,7 miliardi nel Mezzogiorno e 14,5 miliardi nel Centro.
E’ quanto emerge da un’analisi dell’ufficio studi della Cgia. Le persone coinvolte nel nostro Paese dall’economia sommersa sono poco meno di 3 milioni e anche in questo caso è il Sud la ripartizione geografica del Paese che presenta la percentuale più elevata: ovvero il 37,2% del totale. Tuttavia, il fenomeno ormai è esteso anche al Centronord ed ha una presenza record soprattutto nel settore dei servizi alle persone (colf, badanti, etc.). Il tasso di irregolarità di questo settore raggiunge il 42,6%. Al secondo posto scorgiamo l’agricoltura con il 16,8% e al terzo le costruzioni con il 13,%. Come si sottolineava, il valore aggiunto prodotto nel 2021 dal lavoro irregolare in Italia è stato pari a 68 miliardi di euro.

Una media nazionale del 4,2%

Se misuriamo l’incidenza percentuale di questi 68 miliardi di euro sul valore aggiunto totale regionale, la quota più elevata, pari all’8,3%, interessa la Calabria. Seguono la Campania con il 6,9%, la Sicilia con il 6,6% e la Puglia con il 6,2%. La media nazionale è del 4,2%. Dei 2.848.100 occupati non regolari stimati in Italia dall’Istat, 1.061.900 sono ubicati nel Mezzogiorno, 691.300 nel Nordovest, 630.000 nel Centro e 464.900 nel Nordest. Se calcoliamo il tasso di irregolarità, dato dal rapporto tra il numero degli irregolari e il totale occupati per regione, la presenza più significativa si registra sempre nel Sud e, in particolare, in Calabria con il 19,6%. Seguono la Campania con il 16,5% e la Sicilia con il 16%. Il dato medio Italia è dell’11,3%.

L’agricoltura il settore più interessato dal lavoro nero

I 3 milioni di unità di lavoro standard (Ula) presenti in Italia che esercitano un’attività lavorativa in palese violazione delle norme fiscali, contributive e in materia di sicurezza, “provocano” un tasso di irregolarità del 12,7%. Gli altri servizi alle persone è il settore che “annida” il maggior numero di irregolari: precisamente poco più di un milione di Ula che dà luogo ad un tasso di irregolarità di questo settore pari al 42,6%. Tra i comparti più interessati dal lavoro nero scorgiamo l’agricoltura che, secondo l’elaborazione realizzata dall’Ufficio studi della Cgia, presenta un tasso di irregolarità del 16,8% (205.800 Ula).

Di seguito scorgiamo le costruzioni con il 13,3% (220.200 Ula) e il commercio, trasporti, ricettivo con il 12,7% (691.700 Ula). Al netto di chi lavora nei servizi di cura alla persona, va segnalato che per gli altri settori dove c’è più nero è più elevato anche il rischio incidenti nei luoghi di lavoro.
Dall’indagine, inoltre, emerge che dopo la crisi economica provocata dalla pandemia, in alcune aree del paese pezzi importanti dell’economia sono passati sotto il controllo delle organizzazioni criminali di stampo mafioso che agli imponenti investimenti economici hanno affiancato l’uso della violenza, delle minacce e del sequestro dei documenti per “conquistare” il favore di ampie masse di lavoratori, soprattutto stranieri. L’applicazione di queste coercizioni ha trasformato tante sacche di economia sommersa in lavoro forzato, facendo scivolare all’interno di questo girone infernale anche molti italiani che si trovavano in condizioni di vulnerabilità.

LO SFRUTTAMENTO DEI PIÙ FRAGILI

Da sempre il fenomeno del lavoro nero/forzato è legato al caporalato. Anzi, in moltissimi casi il primo è l’anticamera del secondo; non solo in agricoltura o nell’edilizia, ma anche nel tessile, nella logistica, nei servizi di consegna e di assistenza. Ad essere sfruttati sono i più fragili, come le persone in condizione di estrema povertà, gli immigrati e le donne.

Il comparto maggiormente investito da questa piaga sociale ed economica è sicuramente l’agricoltura. Lo sfruttamento della manodopera in questo settore è riconducibile alla presenza simultanea di queste criticità: l’uso massiccio della forza lavoro per brevi periodi e in luoghi isolati, che spesso portano alla creazione di insediamenti abitativi informali; le condizioni inadeguate sia dei servizi di trasporto che di alloggio; lo status giuridico precario o irregolare di diversi lavoratori migranti. Fenomeni di caporalato ai danni degli immigrati, segnala la Cgia, sono presenti da moltissimi decenni nell’Agro Pontino (LT), nell’Agro nocerino-sarnese (Sa), a Villa Literno (Ce), nell’area della Capitanata (Fg) e nella Piana di Gioia Tauro (Rc). Senza contare che da almeno venti anni decine e decine di casi sono stati scoperti e perseguiti dalle forze dell’ordine anche nelle aree agricole della pianura padana.

STOP AL MONOPOLIO DEI POCHI GRANDI

La tragedia che si è consumata la settimana scorsa nelle campagne dell’Agro Pontino è sicuramente figlia dello sfruttamento e delle pratiche schiavistiche praticate dagli imprenditori agricoli di quella zona. Sfruttando lo status irregolare dei migranti, gli imprenditori coinvolgono i lavoratori senza garantire contratti regolari, pagando salari bassi e innescando una serie di problemi legati all’ alloggio, ai trasporti e ai servizi sociali. Tuttavia non va dimenticato che spesso queste condotte criminali sono indotte, non solo nelle aree del Sud, dalla struttura del mercato agroalimentare che, spesso, è monopolizzata da poche imprese della grande distribuzione che continuano a spremere i piccoli agricoltori, che per rimanere sul mercato sono costretti a ridurre gli stipendi della manodopera, alimentando così ancor più il sistema del caporalato.

Nonostante l’Italia abbia recepito la direttiva Ue contro le pratiche commerciali sleali e le vendite sottocosto, la grande distribuzione
continua a mantenere i listini fermi nonostante i rincari, mettendo in grave difficoltà tanti piccoli produttori. “Ricordiamo – sottolinea la Cgia – che la legislazione italiana appena richiamata ha escluso dal campo di applicazione i conferimenti dei soci nelle cooperative e le cessioni di prodotti agricoli e alimentari alle organizzazioni di produttori. Questo vuol dire – aggiunge ancora la Cgia – che chi trasferisce le sue derrate alla cooperativa o all’organizzazione dei produttori non può contare sulle tutele previste dalla legge rispetto ai tempi di pagamento e contro le vendite sottocosto. Quindi, oltre a modificare la legge nazionale includendo anche questi soggetti tra coloro che non possono tenere pratiche commerciali sleali, bisogna incentivare l’attività ispettiva, garantendo, nel contempo, un forte aumento degli investimenti pubblici nel settore del trasporto e soluzioni abitative temporanee che consentano a queste persone una vita dignitosa”.

COSA RISCHIANO LE AZIENDE

Nel dicembre del 2022 è stato istituito il Piano nazionale per la lotta al lavoro sommerso 2023-2025 con la creazione del Portale Nazionale del sommerso (Pns), l’aumento dei controlli sui posti di lavoro del 20% e l’inasprimento delle sanzioni. Il lavoro irregolare prevede sanzioni per il datore di lavoro fino a un massimo di 46.800 euro, mentre il lavoratore non è soggetto a multe, salvo nei casi di presenza di ammortizzatori e sostegni sociali. Il Jobs Act (d.lgs. 151/2015) al fine di contrastare la mancata dichiarazione da parte del datore di lavoro di un rapporto subordinato, ha inserito diverse sanzioni in base alla gravità del ritardo della comunicazione all’Ispettorato del Lavoro.

Queste sono state modificate dalla Legge di Bilancio 2020 e sono diventate ancora più rigide con l’aggiornamento del 2024. Le sanzioni applicate al datore di lavoro variano in base al ritardo della comunicazione con un minimo di 1.800 euro fino alla somma, aumentata per il 2024, di 46.800 euro, per le comunicazioni oltre i tre mesi di lavoro effettivo. A questo importo si può aggiungere anche una multa per mancato rilascio della busta paga, con un importo minimo di 150 euro e un massimo di 7.200 euro. Nel 2024 sono arrivati gli aumenti nelle sanzioni per il datore intorno al lavoro nero: la sanzione di 43.200 è stata portata a 46.800 euro grazie al dl 19/2024 del Pnrr.

Per le sanzioni un incremento del 20%

Le nuove soglie si applicano a partire dal 1 marzo 2024 per tutti coloro che impiegano lavoratori dipendenti senza contratto. Le sanzioni sono incrementate del 20% nel caso di recidiva e se ad essere impiegato con il lavoro in nero sia un soggetto extracomunitario, senza permesso di soggiorno. In questa evenienza si aggiunge anche un’imputazione di reato penale con una reclusione da 6 mesi a un anno. Tuttavia, è prevista una sorta di ravvedimento operoso, nel caso in cui il datore di lavoro inquadri un dipendente in nero, con un contratto di lavoro a tempo indeterminato, entro 120 giorni dall’inizio dell’attività subordinata. In questa circostanza si ridurranno al minimo le sanzioni.

IL CASO SATNAM SINGH

Nella giornata di ieri i carabinieri di Latina hanno arrestato Antonello Lovato, il titolare dell’azienda in cui lavorava Satnam Singh, il bracciante 31enne di origine indiana che il 17 giugno scorso era rimasto vittima di un incidente sul lavoro in un’azienda agricola di borgo Santa Maria. Singh era stato abbandonato davanti alla sua casa con il braccio tranciato, poggiato sopra una cassetta utilizzata per la raccolta degli ortaggi: due gironi dopo è morto all’ospedale San Camillo di Roma, dove era ricoverato in gravi condizioni. Il datore di lavoro, per il quale il Gip ha disposto la custodia in carcere, è accusato di omicidio doloso. Dai risultati della consulenza medico legale, infatti, la Procura della Repubblica di Latina ha variato l’ipotesi di reato inizialmente configurata, omicidio colposo, e ha contestato il reato di omicidio doloso con dolo eventuale.
Il gip evidenzia anche la “condotta disumana e lesiva dei più basilari valori di solidarietà” dell’indagato.

La decisione della custodia cautelare in carcere viene motivata dalla necessità “di recidere i contatti con l’esterno di Lovato”: “Il clima di soggezione nel quale versano gli altri lavoratori stranieri“, che dovranno ancora essere sentiti come testimoni, e “le possibili intimidazioni o i condizionamenti esterni andrebbero certamente a minare la genuinità delle loro affermazioni”, scrive il gip.

I MORTI SUL LAVORO

Secondo l’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro e Ambiente Vega Engineering di Mestre, gli stranieri deceduti in occasione di lavoro nei primi cinque mesi di quest’anno sono 62 su un totale di 286, con un rischio di morte sul lavoro che risulta essere più che doppio rispetto agli italiani.
E, infatti, gli stranieri registrano 26, 1 morto ogni milione di occupati, contro i 10,6 degli italiani che perdono la vita durante il lavoro. A finire in zona rossa a fine maggio 2024 con un’incidenza superiore a +25% rispetto alla media nazionale (Im=Indice incidenza medio, pari a 12,1 morti sul lavoro ogni milione di lavoratori) sono: Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige, Umbria, Campania, Emilia-Romagna, Sicilia e Puglia. In zona arancione: Calabria. Nella zona gialla: Abruzzo, Liguria, Lombardia, Piemonte, Toscana, Basilicata, Friuli-Venezia Giulia e Molise. In zona bianca: Lazio Sardegna, Marche e Veneto.

Sono 369 le vittime sul lavoro in Italia, delle quali 286 in occasione di lavoro (15 in più rispetto a maggio 2023) e 83 in itinere (4 in meno rispetto a maggio 2023). Ancora in Lombardia il maggior numero di vittime in occasione di lavoro (48). Seguono: Emilia-Romagna (35), Campania (30), Sicilia (22), Lazio (21), Puglia (20), Piemonte (19), Toscana (17), Veneto (14), Trentino-Alto Adige (12), Calabria (8), Umbria e Liguria (7), Abruzzo (6), Friuli-Venezia Giulia, Sardegna e Marche (5), Valle d’Aosta e Basilicata (2) e Molise (1).

Nel settore costruzioni il maggior numero di decessi

Alla fine dei primi cinque mesi del 2024 è ancora il settore delle Costruzioni a far rilevare il maggior numero di decessi in occasione di lavoro: sono 57. Seguito dalle Attività Manifatturiere (37), da Trasporti e Magazzinaggio (25) e dal Commercio (18). La fascia d’età numericamente più colpita dagli infortuni mortali sul lavoro è quella tra i 55 e i 64 anni (99 su un totale di 286). Le donne che hanno perso la vita in occasione di lavoro a fine maggio 2024 sono 21, mentre 8 hanno perso la vita in itinere, cioè nel percorso casa-lavoro. Gli stranieri deceduti in occasione di lavoro sono 62, mentre sono 17 quelli deceduti a causa di un infortunio in itinere.
Il martedì risulta essere il giorno più luttuoso della settimana, ovvero quello in cui si sono verificati più infortuni mortali nei primi cinque mesi dell’anno (23,1%).


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